Chi fa i conti con il suo passato coloniale... e chi no.

Tocca ai canadesi questa volta svegliarsi in preda ai sensi di colpa e profondersi in manifestazioni di estrema contrizione, lutto e cordoglio per la seconda scioccante scoperta di una fossa comune riesumata nei territori del suo  far west, nel Saskatchewan. Anche in questo caso, così come è accaduto a maggio nella adiacente provincia del British Columbia, le quasi 800 tombe sono state rinvenute nel giardino di una vecchia scuola coloniale gestita dalla chiesa cattolica e finanziata dal governo.

Diverse città hanno così deciso per oggi, 1 luglio, di abolire le celebrazioni del Canada Day, dopo che questa seconda scoperta di centinaia di resti di bambini nelle ex scuole indigene ha scatenato una resa dei conti con il passato coloniale del Paese. Una festa tradizionalmente celebrata con barbecue e birra e fuochi d'artificio allo scoccare della mezzanotte, proprio come il 4 luglio nei vicini Stati Uniti, ma che  tuttavia quest'anno, il primo ministro canadese, Justin Trudeau, non si è sentito di appoggiare, invitando piuttosto i cittadini  ad un profondo "momento di riflessione".

Argomento non nuovo questo per la sensibilità canadese, di recente costretta a misurarsi con l'affiorare di questa scomoda verità. Da tempo ormai un numero via via crescente di scoperte hanno fatto riaprire  un acceso dibattito interno sulle violenze psicologiche, fisiche e sessuali subite dai bambini indigeni che a partire dall’Ottocento e fino a buona parte del Novecento furono costretti a separarsi dalle famiglie e frequentare collegi gestiti prima dalla Chiesa cattolica e poi dallo stato. Scuole poco meno che prigioni o colonie penali per  minorenni in cui, al meglio, veniva messo in atto un programma sistematico di assimilazione culturale e di sradicamento dalla cultura indigena di appartenenza. Al peggio, si operavano indicibili assassinii di massa. Secondo diversi critici, storici e capi indigeni, queste scoperte comunque non saranno le ultime.

Il civile Canada dunque si riscopre fragile, insicuro e pieno di sensi di colpa, mentre i discendenti dei coloni europei si trovano a calpestare quel terreno che i loro antenati conquistarono strappandolo ai malcapitati nativi, a forza di indicibili violenze e privazioni.  Fare i conti con il passato non è mai facile, ma  nascondere la polvere sotto il tappeto non serve a niente.

Sono molte le nazioni che devono fare ancora i conti con i proprio passato, non ultima l'Italia con il suo passato fascista, compresa la breve ma "intensa"  parentesi coloniale: in Libia (gas iprite contro i beduini e deportazione in massa in campi di concentramento),  in Abissinia (per citare "solo" il massacro di Amba Aradam) e in Somalia dove non di rado le nostre truppe si misero in luce con spaventosi stermini di massa e inumane deportazioni. 

Per non parlare del Congo belga, forse la tragedia del Novecento più grave dopo l'Olocausto e di certo la più misconosciuta di tutte. Trasformato dall'allora reggente Leopoldo II in una Casa degli Orrori, il Congo venne gestito brutalmente da un regime disumano per anni. Lo sfruttamento selvaggio e le violazioni dei diritti umani della popolazione nativa, furono all'ordine del giorno. Le mutilazioni di mani e piedi eseguite, quando le produzioni della gomma non rispettavano i quantitativi richiesti, o quando gli schiavi non eseguivano correttamente gli ordini impartiti,  portarono addirittura alla nascita di un movimento internazionale di protesta. Sulle donne la malvagità e l’orrore condussero gli aguzzini a privarli delle mammelle. Frequenti furono le spedizioni punitive contro i villaggi, distrutti e dati alle fiamme. Non furono risparmiati bambini. Ad aggravare la situazione giunsero frequenti epidemie di vaiolo e malattia del sonno. Le stime sulle perdite di vite umane durante la colonizzazione di Leopoldo II oscillano tra i 3 e i 10.000.000 di morti. Da rabbrividire.

Solo l'anno scorso, il re Filippo del Belgio, in nome dell'antica famiglia reale, per la prima volta da allora ha riaffrontato il tema Africa dopo anni di inspiegabile silenzio. Chiedendo scusa all'attuale presidente del Congo dopo 60 anni dall’indipendenza della stessa nazione africana, per "le  atrocità che i belgi avevano inflitto alla popolazione locale, espropriando terre e beni". Meglio tardi che mai.

Spostandoci in Germania: recentemente la Merkel ha chiesto perdono per il feroce passato coloniale tedesco in Namibia, nazione del sud ovest dell'Africa, terra trasformata in culla di discriminazione razziale e di schiavizzazione dei popoli nativi. Ma soprattutto la Merkel ha chiesto perdono per il genocidio,  inspiegabile come ogni uccisione in massa, messo in opera fra il 1904 e il 1908 dai militari tedeschi che massacrarono 70.000 persone appartenenti alle due popolazioni indigene Herero e Nama. L’intenzione era quella di far "sparire una nazione intera", secondo una concezione di sterminio piuttosto comune nella Germania di allora.

Il governo tedesco qualche settimana fa, nel chiedere umilmente scusa per il passato, ha così ammesso la responsabilità morale ed etica delle atrocità commesse, parlando finalmente apertamente di genocidio. Un segno politico lungamente atteso dalle popolazioni namibiane. Si badi bene, un atto non facile per il governo, visti i tragici trascorsi storici della Germania. Prost! 

1 luglio 2021

Commenti

BarryLyndon

02.07.2021 23:40

Dio era anche con i nazisti ...Gott mit uns... c'è da credere, a Sua insaputa ...

Vicè

02.07.2021 20:04

Al grido di Dio lo vuole i crociati hanno lasciato una testimonianza. Cosa dire di più....