FALSO MOVIMENTO 



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Che fortuna non aver avuto figli ...


Sprofondato sul sedile posteriore di un taxi che l’avrebbe riportato in centro città, Cedric si era imbarcato in un lungo e pericoloso convoglio di pensieri. Al riguardo non sembrava nutrire troppi dubbi e la spiacevole situazione di Eric non faceva che accrescere le sue convinzioni. Il sillogismo, se lo si poteva chiamare così, si reggeva su un ragionamento semplice e lineare. Se a trovarsi in pericolo di vita fosse stata la sua stessa persona, avrebbe sempre potuto contare sulle proprie risorse per riuscire a gestire, qualunque carico di stress. Anche le situazioni più dolorose. Prova ne era la minaccia telefonica ricevuta la sera prima che, con il far del giorno, sembrava ormai depurata dalle scorie più tossiche. Ma che fare se a trovarsi in pericolo di vita fossero stati i propri stessi figli?


Si immaginò per un attimo nei panni di Dutroux e della Nerval. Si strinse nel paltò, rabbrividendo al solo pensiero. D’altra parte, se fai un figlio, ripeté a sé stesso come a voler certificare una volta per tutte la regola madre, devi poi essere pronto ad accettarne ogni conseguenza. Non ultima quella di diventare da un momento all’altro clamorosamente ricattabile. Questo, senza filtri, il Bovin pensiero. E a chi lo avesse tacciato di egoismo? Non avrebbe avuto dubbi a replicare, non senza un pizzico di fastidio: "Io egoista? O chi mette al mondo quei figli che non saprà educare e guidare nel mare profondo e oscuro della vita?”. Mentre a chi avesse tirato fuori dal cilindro l’argomento della riproduzione dell’uomo connessa al senso dell'esistenza su questo pianeta, non avrebbe esitato a bruciarlo a freddo con il sarcasmo: “Hai presente i dinosauri che fine hanno fatto, giusto?”


La sua posizione in merito al capitolo “figli” non era mai cambiata. Non erano state molte le occasioni in cui Cedric era stato messo di fronte a quel dilemma. Tuttavia, il ricordo di quei brutti momenti passati sembrava ancora oggi perseguitarlo. Erano trascorsi ben 10 anni (un’era geologica) da quel terribile evento spartiacque: l’aborto della sua ex moglie, la già famosa pittrice Marion Ducasse. Momento in cui Cedric si trovò a gestire una di quelle situazioni più grandi di lui. Chiamato a pagare, come fu, una delle più pesanti rate del conto della vita.


Con l'addebito dell’aborto non tardò a presentarsi la rata della separazione e di lì a poco, inevitabile conseguenza, sopraggiunse il salasso del divorzio. E tutto quello ne conseguiva. Dopo la bellezza di quasi 13 anni di vita trascorsi insieme. Non male in un colpo solo, nel giro di poche settimane, giocarsi quella che lui chiamava, non senza un po' di ironia, la sua "prima vita".


Si sa, d'altra parte, non c’è forza umana o divina che si possa opporre alla decisione unilaterale di una donna di fronte al dolore della perdita di un potenziale figlio. A onore del vero i rischi per continuare quella gravidanza sarebbero stati altissimi e almeno in quelle specifiche circostanze non sembrava ci fossero molte alternative. In seguito alla villocentesi i medici avevano diagnosticato un’incidenza altissima di displasia scheletrica, una malattia che avrebbe fatto nascere il bambino paralizzato dal collo in giù. Cedric non ebbe dubbi per l'interruzione terapeutica di gravidanza. Marion ne fu distrutta ma alla fine del percorso sembrò lasciarsi condurre alla ragione. Anche perché non c’era un’alternativa plausibile. Ma da quella tragedia non si era più ripresa e una parte di sé stessa parve trovare consolazione nell’addebitare le colpe a Cedric. Un comportamento irrazionale, certo, che Cedric cercò di comprendere trovando alla fine una sola spiegazione: non era quello l’aborto che Marion le addebitava. L’aborto che, con il senno di poi, era diventato davvero il pomo della discordia fra loro era stato consumato qualche anno prima. Ed era quasi avvenuto in souplesse. Il detective aveva rivisto la bobina del film scorrere all’indietro, velocemente, come il nastro di un VHS. E in breve si ritrovò catapultato a metà degli anni Novanta.


Poche ma stentoree diapositive resistevano al tarscorrere del tempo, con Cedric che prendeva il viso di Marion fra le mani, provando a parlarle dritto al cuore: la verde età, la gioventù, la spensieratezza e i vent’anni che non sarebbero mai più tornati. Lucidi lampi di realtà, cui si aggiungevano le motivazioni professionali di entrambi: l’ascesa della sua carriera in polizia con le prime promozioni, i passaggi di grado, un avvenire tutto da costruire in un periodo di grande dinamismo che l’avrebbe tenuto lontano da Parigi, ad Avignone, nel sud del paese, dove sarebbe dovuto rimanere in servizio almeno per altri 4 o 5 anni. Per non parlare dei sogni di gloria di Marion, impegnata spasmodicamente a sospingere in alto l’asticella delle proprie aspettative artistiche. Divisa com’era fra il suo atelier e le innumerevoli mostre di pittura che la vedevano già, giovane promessa del firmamento parigino, all'inseguimento di un sicuro successo di scala mondiale.


Nella storia di un uomo e di una donna, pensò Cedric a chiusura del lungo treno di pensieri, bisognava farsi forti e farsi carico di tutte le responsabilità delle decisioni prese. Senza guardarsi mai indietro. Con buona pace degli effetti collaterali che esse avrebbero generato. Su questo non aveva mai avuto alcun ripensamento. E oggi come allora non avrebbe ceduto agli infidi ricatti del tempo.


Tuttavia non riusciva ad immaginare come sarebbe potuta cambiare la sua vita, se solo avesse dovuto tirar su un figlio. Da quell’angolo recondito del suo cervello, dove il caos sembrava regnare sovrano, ogni tanto sgorgavano alcuni rivoli, le cosiddette domande di natura carsica, le chiamava lui. Chissà come sarebbe stato adesso, sfondata la soglia degli –anta, crescere un figlio tutto suo? sarebbe stato in grado di badare a lui? Ne avrebbe avuto solo le forze fisiche? Avrebbe potuto mai rinunciare alle sue libertà consolidate? Sarebbe mai stato disposto a pagare questo prezzo? E come sarebbe stato il Cedric che avesse deciso di rimettere la sua vita nelle mani di un figlio? Che tipo di padre sarebbe stato? un convinto interventista? O un passatista, di quelli che avrebbe limitato al minimo i tentativi di manipolazione? Quale il metodo che avrebbe scelto per la sua educazione? il bastone o la carota? Sarebbe stato meglio mostrarsi suo amico oppure parteggiare per un teorico rispetto dei ruoli? Si lasciò sorprendere da una sfilza di irresistibili ingenuità.


Erano le domande carsiche, quelle che partivano da un non ben precisato algido ghiacciaio mentale e che finivano per imboccare un tragitto sotterraneo, spesso esaurendosi prima di sfociare da qualche parte. Vuoi perché non avevano beccato la giusta vena, vuoi perché erano spesso mal poste e finivano per esaurirsi in un inutile periodo ipotetico, pieno di fastidiosi congiuntivi e minato da indecifrabili condizionali.


Il taxi lo lasciò a Place Darcy, di fronte al Gran Hotel la Cloche mentre il campanile di una chiesa vicina suonò 10 rintocchi. Ripassò davanti alla cabina telefonica, ne marcò il perimetro e si sorprese con le mani dietro alla schiena, con l’atteggiamento di chi sta spiando senza farsi vedere. Alla fine decise di entrare nella cabina e sempre con le mani legate ispezionò il counter e poi il gancio a cui era appesa la cornetta. Sganciò il ricevitore, con la cura di chi sta maneggiando un’arma del delitto, mentre la su attenzione si concentrò in corrispondenza di una macchia bluastra. La ispezionò da vicino portandosela all’altezza degli occhi fino a scorgervi delle pesanti macchie di rossetto, come se il microfono fosse stato sbaciucchiato da una grossolana ninfomane. In corrispondenza del manico aveva potuto sniffare un fine profumo di donna. Erano delle tracce, pensò. Non che fosse un esperto di maquillage, ma quelli erano sicuramente degli indizi da cui partire per una pista. Considerando che il telefono pubblico veniva utilizzato da ben pochi utenti, c’era da credere che quelle tracce appartenessero davvero alla sua donna. O almeno si poteva ipotizzarlo. Cherchez la femme, si sorprese a pensare, senza troppa voglia di sorridere. E in un baleno, tirò fuori il suo inseparabile coltellino svizzero, si guardò furtivo a destra e manca per assicurarsi di non essere visto e infine decise di recidere di un colpo netto il cavo telefonico, proprio appena sotto il ricevitore. Ma prima di farlo, avrebbe dovuto effettuare due chiamate molto importanti. Anzi, vitali, si corresse.


Alain aveva due e forse più numeri di cellulare. A quell’ora del mattino, sarebbe stato più probabile beccarlo al numero ufficioso, il numero destinato agli amici più intimi. L’innesco della segreteria telefonica quasi al primo squillo, rese di cattivo umore il detective. Con malcelata rabbia, provò dunque a chiamare in ufficio, dove però era raro poterlo rintracciare. E invece sorprendentemente Alain rispose con perfetto tempismo al secondo squillo. Gli riferì che si trovava a passare da lì solo per caso. E che la sua giornata era già andata a puttane. Ma non c’era da credergli troppo, lo diceva quasi sempre. Era una delle sue frasi di default. Stavolta ce l’aveva con i due collaboratori che, a suo dire, non rispondevano mai alle sue chiamate. Per un attimo Cedric riesumò dalla memoria le facce dei suoi due tirapiedi, Stephan e Pierre che a forza di stare insieme avevano assunto ormai la stessa identica espressione di un cane bastonato. A Cedric sarebbe piaciuto prendere un po' in giro Alain, ma era chiaro che aveva altro per la testa. E che non fosse la giornata giusta, lo aveva capito lo stesso Alain cui bastava poco per intuire l’umore dell’amico.


- Ho sentito il tuo messaggio in segreteria stamattina ... e ho provato a chiamarti in Hotel, ma non c’eri! Mi dici che diavolo ci fai a Dijon intanto? … e a proposito, visto che sei là, non ti dimenticare per favore, pena la vita, di prendermi un paio di confezioni di mostarda Edmond Faillot, quella in vasetti piccoli, da 50 gr. mi raccomando, a grani grandi e gialli...

Attaccò tutto d’un fiato Alain che era solito monopolizzare con la sua inarrestabile verve la conversazione con l’amico.

- Non so se manco se sia conveniente raccontarti quello che sto per raccontarti … Gli rispose un ritroso Cedric, entrando subito nel vivo senza troppi fronzoli.

Dall'altro capo si senti il ruminare pesante delle mandibole di Alain perfettamente accordate alla velocità del suo pensiero.

- Allora procedi per gradi, senza fare troppi nomi e limitati all’essenziale …

- Non ho molti nomi da vagliare, solo uno, un certo Dutroux...

- Intendi il famigerato architetto, l’archistar ...?

Curioso, pensò Cedric, come nella lingua francese le parole per descrivere un uomo non più nelle grazie dell’opinione pubblica (notorio, infame, famigerato) non diano adito ad alcun dubbio di interpretazione.

- E poi, giusto per essere molto stringati, volevo che ti assicurassi che il tuo pied-à-terre a Montparnasse sia davvero pulito... in tutto e per tutto.

Alain sorrise, in maniera spocchiosa come gli capitava sempre quando si voleva dimostrare sicuro delle sue cose.

- Ti invito allora a darci un’occhiata a fondo, al tuo prossimo rendez-vous.

- Fossi in te, non farei tanto lo spiritoso … qualcuno mi ha ricordato che potrebbe girarci un intero film hard… se solo volesse ... e la cosa mi ha fatto tremare le vene dei polsi. Ne converrai, giusto?

Dall’altro capo della cornetta ci fu un leggero ritardo.

- Mi stai dicendo che presto ci delizierai su tutte le pagine dei tabloid scandalistici...

- Io non riderei troppo, fossi in te...

Alain aveva capito fin troppo bene in realtà. L’ironia era solo un modo per prendere un po' di tempo fra una risposta e l’altra.

- Già vedo i titoloni su Le Figaro …

Si lasciò andare Alain ad una risata nervosa.

- Non riesco a capire come quel posto che dovrebbe essere ipersicuro e riservatissimo, sia potuto arrivare a conoscenza di gente che non mi pare mostri troppi scrupoli di coscienza.

- Immagino tu stia lavorando su materiali tossici, giusto? Tornò serio Alain.

- Tossico ... potrebbe essere la parola giusta. Ma sto lavorando a favore delle alte sfere, per intenderci... E per questo non mi capacito …

- Eh caro mio ... questa è la conseguenza di non tenermi sempre costantemente informato sui tuoi movimenti ... Fu la chiosa un po' declinante di Alain cui avevano cominciato a girare a mille le pale dei mulini.

- Faccio in modo di prendere un po' di informazioni sul primo e di dare un’occhiata a fondo sul secondo... Chiamami verso l’ora di pranzo al cellulare. Ho giusto uno dei miei da quelle parti.

Concluse sbrigativamente.

- Te ne sarei grato…

- Ehi Cedric!

fece Alain

- Che c’è?

- Compratelo un cazzo di telefono … fammelo un giorno questo regalo. Fallo per me.

- Ci penserò... Ma tu ricorda: avere un cellulare appresso è inutile, se poi non mi rispondi mai quando serve.


La seconda telefonata fu più breve. Non poteva che essere altrimenti. Aveva lasciato buoni amici al commissariato del IV arrondissement quando, dall’inchiesta di quell’ignobile scandalo nel 2010, Cedric aveva deciso di consegnare senza ripensamenti e definitivamente il suo distintivo. E nonostante anni dopo la gloriosa formazione degli “implacables” fosse stata smantellata, ancora oggi poteva contare sulla fiducia di qualche vecchio amico rimasto in forze alla centrale. Antoine, suo compagno di tante avventure, era fra i pochi di cui si potesse veramente fidare alla Polizia. A lui Cedric affidava il lavoro sporco della talpa. Captare i segnali delle investigazioni e trasformale in perfette soffiate, da anni era ormai diventata una specialità della casa. Antoine, con i suoi capelli lisci a spaghetto e il suo pesante accento meridionale di Tolosa, era inarrivabile in questo e in diversi casi fu solo grazie al suo talento che Cedric poté venire a capo delle sue indagini più intricate. Anche stavolta il buon Antoine non aveva deluso. Nel loro veloce scambio di informazioni in codice, Cedric venne a sapere che il cellulare di Eric era stato rintracciato laddove lo aveva verosimilmente lasciato spento: a casa della madre, dove viveva. Circostanza rilevante, notò Cedric, cui non poteva sfuggire questo delicato passaggio. Eric quel sabato era partito in direzione Dijon con la chiara intenzione di fare perdere di sé le proprie tracce. Ma non era tutto. Sfortunatamente Antoine, dovette troncare d’improvviso la telefonata con Cedric, dal proprio cellulare privato, rimandando Eric ad altre “importanti scoperte” a fine turno, in serata.




 


FALSO MOVIMENTO



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Cedric non mostrò alcun segno di imbarazzo mentre esibiva la cornetta recisa, avvolta in un arioso involucro di cellophane che ne lasciava intatte le evidenti tracce. La cornetta stava lì sul freddo vetro a specchi di un laboratorio di maquillage, come fosse pronta per essere operata. Nello schiudere il contenuto del sacchetto, aveva fatto attenzione a maneggiarla con cura. Attorno al tavolo di una stanza privata, un uomo che pareva ricoprire il ruolo di manager aveva radunato, per espressa richiesta di Cedric, le sue truccatrici più esperte. Ma la cura maniacale e le attenzioni che Cedric riversava sulla cornetta, avevano finito per creare una scena surreale fra i tre increduli professionisti, che per non far torto alla seriosità di Cedric dovettero più volte ricorrere a dei colpi di tosse per reprimere un’incipiente ilarità. Il detective aveva ben compreso di essere lui l'oggetto di derisione. Ma li lasciò fare, incuranti dei loro sguardi melliflui.


Prima di entrare, di presentarsi ed esporre il problema, aveva studiato da fuori l’ambiente del lussuoso negozio. Il nome deponeva bene: l’Atelier du Maquillage. Credette di ricordare che il nome fosse uno dei marchi dell’industria della bellezza, alla stregua della Compagnie de la Beauté, l’Occitane en Provence e simili. Bisognava trovare dei professionisti nel campo, non aveva dubbi, anche perché le tracce rinvenute sembravano prestarsi al suo caso: un rossetto bluastro molto pastoso, almeno a giudicare dalle pesanti derapate che avevano lasciato sul ricevitore. Certo, appena qualche ora prima, non avrebbe immaginato mai di doversi attaccare alle tinte e alla grana di un rossetto per portare avanti le sue incerte indagini. E per un momento, prima di presentarsi, tornò a sentirsi disperato.


Il Capo Maquillage, superata l’iniziale impasse, si sforzò comunque di dimostrarsi professionale. Sembrava un anatomopatologo che, dopo aver affondato le sottili lame nelle carni del cadavere, ne riaffiorava soddisfatto con il verdetto finale in tasca. E il suo gesto teatrale, al limite dell'autocompiacimento, non era sfuggito a Cedric che da fine psicologo aveva compreso come in quel negozio vi fosse in corso una guerra ad alta intensità. La solita battaglia che affondava le radici nella notte dei tempi: ammalianti odalische che, in feroce spirito di competizione fra loro, senza esclusione di colpi si contendevano il favore del loro padrone. Pur non volendo, Cedric si trovò dunque ad assistere da spettatore disinteressato a questo inaspettato duello.


La prima odalisca, di media statura, mezza età e media bellezza, con capelli tagliati né troppo lunghi né troppo corti, sembrava il ritratto della medietà. Pareva come se i suoi occhi grandi e cerulei fossero stati concepiti per attirare gli sguardi di quella tipologia di uomini inquieti che, dopo diverse disamine, un po' lusingati ma subito dopo interdetti, non si risolvevano ancora a decidersi: ne erano attratti o respinti? Il verdetto di Cedric non tardò ad arrivare: quella donna rientrava forse in uno di quei casi in cui, nell’incertezza, l’uomo avrebbe desistito dal corteggiamento. C’era qualcosa in lei di respingente. Ecco cos’era! aveva poi pensato a ritroso Cedric. I suoi occhi profondi e verticali ma spenti e troppo malinconici estinguevano negli altri ogni prospettiva di futuro.


Alla sua antagonista invece non mancava l’avvenenza, lo stile e una notevole presenza di spirito, quella personalità che faceva impazzire la metà degli uomini e terrorizzare a morte l’altra metà. Doveva essere una fumatrice incallita poiché avvicinandola Cedric ebbe la spiacevole sensazione di essere investito dalla nuvoletta del fumatore, quella scia impalpabile e fastidiosa di tabacco che ogni vizioso del fumo ben sapeva di portarsi appresso. Come uno stigma. E non c'erano armi efficaci a debellarla: amuchina sulle mani, lacca profumata sui capelli, deodorante neutro sui vestiti e una sempiterna chewing gum in bocca. Niente, sarebbe affiorato quando meno ce lo si aspettasse. In lei, il phisique du role della perfetta mangiatrice di uomini andava di pari passo con il piglio deciso e la fierezza dello sguardo. Due tratti che insieme non avrebbero lasciato scampo quasi a nessun uomo. Nemmeno a quelli che si vantavano di appartenere alla tipologia alfa.


Inutile dirlo, il premio per queste due prime donne, sarebbe stato lui, il capo di quell’atelier di maquillage. Visto un po' più da vicino, l’uomo sembrava dare l’idea di uno spaventapasseri: alto, segaligno, con un paio di spalle sproporzionate rispetto al tronco smilzo e, non da ultimo, un inquietante incarnato pallido tendente al verdastro. Una macchietta dai movimenti improbabili che fuori contesto, poniamo allo stadio, per strada oppure in un banale caffè, sarebbe risultato il classico sfigato di mezz’età cui il terrore di perdere i capelli glieli aveva irrimediabilmente sbiancati. Rendendoli del tutto simili al colore e alla consistenza della stoppa usata dagli idraulici per tappare i tubi dei lavandini. Cedric, cui l'amico Alain attribuiva un particolare talento nell’affibbiare una precisa etichetta ai difetti o ai tic degli altri, anche in questo caso non si smentì. Cambiava l’ordine degli addendi, pensò, ma quasi mai il risultato. Che si trattasse di un manager impettito di un ristorante da quattro soldi, o di un rigido capotreno con il piglio dell’ufficiale della Gestapo, oppure di un vigile urbano dalla cui direzione del traffico sembravano dipendere le sorti dell’umanità, era sempre la stessa dannata malattia: la smodata difesa del proprio centro di potere. Per quanto piccolo ed insignificante potesse sembrare. Dopotutto, nonostante tutte le sue ingenue ottusità, l’uomo aveva nei secoli sviluppato una forma d’intelligenza puntuta e redditizia, per quanto superficiale e a breve gittata. Qualcosa che, a ben vedere, aveva a che fare con l’essenza stessa della sua materia e con il suo innato spirito di autoconservazione.


Bastava solo dare un’occhiata al meccanismo che si era incistato nel mondo dei vari social; su instagram, facebook, twitter e sul resto delle piattaforme web che Cedric fuggiva come la peste. Non solo c’era posto per chiunque in questo mondo, ma tutti al suo interno, dal più sfigato nerd al più smidollato fra i boomers, potevano giocare il ruolo di protagonisti unici e clamorosamente irripetibili. Bastava solo sapersi ritagliare il proprio mondo su misura e tutto sarebbe arrivato di conseguenza. Tutto avrebbe funzionato alla perfezione. A ciascuno la propria fetta, seppure infinitesimamente piccola di potere. Bisognava solo sapersi accontentare. Questa la vera rivoluzione dell’uomo nel Terzo Millennio.


Ed ecco che le ampie spalle del Capo del Maquillage continuavano a fendere l’aria. In posizione di riposo si allargavano, la postura si irrigidiva, i piedi si affossavano sul pavimento come nel gesto di voler piantare le proprie radici. Lì l’uomo diventava un albero, una quercia, statico, enorme; oppure una gru lenta e macchinosa. E il gioco delle spalle creava un movimento spettacolare: con quell’apri e chiudi della giacca che si spalancava agli angoli più improponibili, lasciandone talvolta scoperto il petto villoso. L’homo vulgaris del terzo millennio, in tutta il suo splendore. Alla costante ricerca di approvazione e chiuso nel suo minuscolo mondo di certezze.


Pur tuttavia, un professionista, ebbe modo di ricredersi Cedric se, senza consultarsi con le due pretendenti al trono, alla fine della prova sensoriale, aveva decretato il suo verdetto. Il rossetto spalmato abbondantemente sulla cornetta senza alcun dubbio doveva essere un Le Rouge Français, per via di quella peculiare tinta a grana grossa e di quell'inconfondibile color indaco. Mentre, più complicato era sembrato il riconoscimento del profumo, un’essenza abbastanza pregiata, a base di "verbena odorosa, pompelmo e verbena esotica, con persistenti note di gelsomino e iris”. L'uomo sciorinò con ispirata verve una parte del suo repertorio tecnico, assumendo un’aria soddisfatta. Infine, si girò verso le sue sottoposte, cercando e ottenendo approvazione dal loro sguardo.

- Io ci sento pure una chiusura di boschivo, quasi di palude, qualcosa come di bagnato, come note di cedro di mare...”.

Le fece eco la commessa fumatrice con un agguerrito tono da competizione. 

Cedric sembrò soprassedere sulla leziosità della descrizione organolettica per concentrarsi sull’essenziale.

- Insomma, questo profumo potrebbe stringere il campo delle mie ricerche?

- Difficile dirlo con certezza …

Si espresse il profumiere tornato alla ricerca dello sguardo delle due assistenti nel tentativo di moltiplicare il valore del proprio intervento.

- Però le posso dire che la profumiera più in gamba di Francia sarebbe forse felice di poterle offrire la sua consulenza…

Cedric per la prima volta scorse nell’espressione dell’uomo un lampo di modestia e di misurata e sincera compostezza. Quasi si spiacque per averlo giudicato male, prima.

- Si chiama Grenier... Genevieve Grenier e alla veneranda età di 80 anni è sempre lei la migliore.

Continuò tradendo dalla voce un po' di emozione.

- E dove la posso trovare?

- Se ha fortuna, alla bottega artigianale del monastero di Citeaux. Dalle ultime notizie in mio possesso, è tornata da qualche anno nel suo paesino natale, vicino al monastero e spesso si trova a dare una mano in bottega. Le porti i miei saluti se dovesse passarci.

- La conosce bene?

- Un po'... è mia madre.

Dal silenzio che si creò tutto intorno Cedric intuì i contorni di una storia triste, che non avrebbe avuto modo, né probabilmente voglia, di approfondire.


Figlio di un rampollo dell’alta società parigina, l’archistar Gerard Dutroux, 53 anni, una brillante carriera universitaria, era cresciuto a caviale e champagne, specializzandosi alla Princeton University in New Jersey. Una ramificata rete di conoscenze grazie agli ottimi uffici del padre,potente magistrato della Cour de Cassation, ne aveva certamente facilitato l’inserimento. E poi la fama che arrivò dopo aver ricevuto la commissione di alcuni importanti lavori pubbici. Specie in città di provincia, nel sud come nel nord della Francia. E dopo lunghi anni di vacche grasse, ecco che il suo nome all’improvviso era finito nell’occhio del ciclone per alcune parcelle salate che il suo studio aveva preteso all’indomani dell’assegnazione di un appalto pubblico. Una lievitazione dei costi cui le amministrazioni erano abituati, ma che nel suo caso arrivava fino al doppio della base d’ asta. Venti, trenta milioni di parcella, solo per la progettazione di un grattacielo commissionato dall’amministrazione dell’Ile de France. Sembrava evidente che in quegli ultimi anni gli amici lo stessero abbandonando. O che comunque non godesse più dei privilegi della casta di un tempo.


Era stato Alain Leclair verso l’ora di pranzo, come d’accordo, a preparare sul "dosseir Dutroux", come lo chiamava lui, un resoconto veloce e approfondito, almeno in merito alla situazione giudiziaria dell’architetto. Mentre non poteva dire lo stesso sul "dossier pied-à-terre". In questo caso, Pierre e Stephan dopo un approfondito sopralluogo, non avevano riscontrato nessuna traccia di scasso o manomissione nell’appartamento di Montparnasse. Ragione per cui Alain aveva dedotto che, quali che fossero le cattive intenzioni dei ricattatori, ne sapessero meno di quanto andavano millantando. E che stessero bluffando sul possesso dei video hard. Una versione plausibile, riflettè Cedric, un pò sollevato, ma che non aiutava certo a liberarlo dal problema principale. Chi fossero e che cosa volessero ottenere quei ricattatori dal suo allontanamento dal caso Dutroux e dalla stessa Mme la Ministre?


Chiusa la comunicazione con l’amico giornalista, per un attimo un pensiero folle gli attraversò lo spettro della mente. Che fosse il marito di Annette il vero motore e l’innesco di quell'odioso ricatto? che fosse proprio il ministro in persona ad aver incaricato dei malacarne di spaventarlo a morte? D'altra parte la pessima fama di Monsieur Boissy, uomo geloso e follemente possessivo, lo precedeva. Per un attimo quello scenario gli sembrò attendibile. Ma poi non riusciva a spiegarsi in quale modo e in quale tempo il suo impegno nelle ricerche per la sparizione di Eric, si intersecassero con l’affaire Boissy. Cedric tornò di malumore da questo veloce e verticale treno di pensieri. Bighellonò senza meta nei pressi della stazione. E poi, all'orario convenuto con Antonie, tornò a rinchiudersi in una cabina telefonica che aveva adocchiato quella mattina dalle parti di Saint Benigne.


Appena dopo l'ora di pranzo, dopo aver trangugiato al volo una baguette bombata di burro che traboccava poulet e salsa tonnata da tutte le parti, rientrò in hotel. Lì trovò Dutroux, sprofondato mollemente in una poltrona della hall. La sua presenza gli diede ai nervi. Intuiva l'incapacità dell'uomo di muoversi, di reagire, di trovare una via d'uscita al suo costante torpore. E lo condannava anche per quello. Una debolezza e una pusillanimità che si sarebbero potute leggere da ogni suo comportamento. Come aveva fatto quest’uomo a diventare una star, malgrado sé stesso? Si chiese sprezzante. L’architetto parve intuire a breve distanza la presenza di qualcuno. Alzò gli occhi dallo schermo del suo smartphone e si trovò inaspettatamente addosso quelli del detective.


- Bovin!

Fece Dutroux alzandosi istintivamente in piedi, insicuro se essere lieto per il ritorno del detective o spaventato per quella furia che pareva leggergli negli occhi.

- Monsieur Dutroux, torno a ripeterglielo per un'ultima volta: c’è forse qualcosa che devo sapere e che lei mi ha tenuta nascosta sulla scomparsa di suo figlio!?

Entrò subito nel vivo Cedric.


- Non mi pare, cosa intende dire?

Nel ribattere, Dutroux sembrò genuinamente cercare la giusta espressione fra l’offeso e il deluso. Ma si trovò a disagio per il tono del detective, che non aveva avuto esitazioni ad alzare la voce, con il chiaro intento di incutergli paura. Si sentì addosso anche gli occhi del concierge e di qualcun altro della hall. Allora provò a prendere il detective per un braccio e spingerlo verso un angolo più tranquillo, dove avrebbe anche accettato di sentire i suoi rimbrotti. Ma lontano da occhi e orecchi indiscreti. Si sedettero in un salottino.


- Devo ammettere che fin dall’inizio dell’incarico sono stato un po’ deluso delle sue motivazioni circa il mancato coinvolgimento delle forze di polizia. E su tutte le sue reticenze...

Attaccò Cedric che non parve mollare la presa. Non gli era capitato ancora di parlargli in maniera così franca. Da quel suo tono teso, Dutroux avrebbe finalmente capito che qualcosa era cambiato nel loro rapporto da quel momento.

- Guardi se è di questo che è venuto a parlarmi, possiamo anche fermarci qua... io posso tranquillamente revocarle l’incarico...

Si affrettò a ritirarsi in difesa Dutroux.

L’architetto era un osso più duro di quanto aveva previsto Cedric. Nonostante questa sua apparente aria di indifferenza a tutto e a tutti, Dutroux sapeva bene in realtà come difendersi e contrattaccare senza correre il rischio di soccombere.

Cedric tacque a questo punto. E con il suo silenzio intese lasciare campo a tutte le eventuali rimostranze che l'architetto avesse in pancia. 

- Ha detto bene lei, lei è dall’inizio che non crede alla nostra storia, che sta facendo le pulci a me e alla mia ex... che continua a torturarmi quando invece mio figlio è ancora fuori! Eric, mio figlio! potrebbe essere in pericolo, potrebbe aver bisogno del nostro aiuto... e lei invece che fa? Si arrovella nei suoi dubbi, si alimenta delle sue elucubrazioni mentali, pretende di sindacare sul mio stile di vita e su quello di mia moglie...


Il suo eloquio parve genuino e sincero, intermezzato qua e là da qualche tirata di naso che ne rimarcava, se ce ne fosse stato bisogno, tutta la sua disperazione di padre. Cedric non poté fare a meno di notare che l’uomo, in posizione di stress, si trasformava in una maschera inguardabile, gli occhi sembravano schizzargli fuori dalle orbite e la schiuma addensarsi agli angoli della bocca. Non proprio un bel vedere.

- Lei è completamente fuori pista! Lei sta soltanto perdendo il suo tempo con me, mentre mio figlio chissà Dio dov'è...magari al freddo, senza cibo per sfamarsi, alla mercé di gente violenta che potrebbe anche torturarlo ...

Ringhiò Dutroux, sfiorando adesso il punto di rottura.

Seguì ancora un lungo momento di silenzio durante il quale Dutroux parve sforzarsi di tenere a bada un cedimento di nervi nascondendo il volto dietro alle mani. Cedric lo lasciò rifiatare. Aveva bisogno del signor Dutroux lucido. 

Adesso veniva il suo turno. 

- Vorrei se possibile partire da capo con Lei... so che non è semplice, ma io ho bisogno che lei sia più sincero d’ora in poi con me. Me lo promette?

Disse Cedric guardandolo dritto negli occhi.

- Cosa? Che cosa le devo dire?

Rispose l'architetto, scoprendo il volto, come riaffiorando da un pozzo profondo.

- Provi intanto a raccontarmi perché suo figlio, il giorno della sua sparizione, ha lasciato a casa il suo cellulare, in modalità spento...  

Dutroux lo guardò frastornato, senza capire.

- E poi mi dica per quale motivo Eric, qualche giorno prima della sua sparizione si sarebbe affrettato a svuotare tutti i messaggi di posta elettronica dei suoi tre accounts. Non solo... ha pure fatto rimuovere, in maniera permanente, tutti messaggi da Novalia … un famoso think tank su cui era molto attivo. E infine, colpo di teatro: vengo a scoprire che questa specie di piattaforma web è gestita da una società in cui lei, Monsieur Dutroux, figura personalmente come amministratore delegato...

Immobile sulla poltrona, i gomiti rannicchiati stretti  fra le gambe, in posizone quasi fetale, Dutroux sembrò sconnettere il suo sguardo che per un istante parve sconfinare nel nulla. Poi sembrò riagganciarsi alla corrente continua.

- C’è qualche altra novità di cui lei crede io debba essere informato?

Nicchiò il detective, con studiata lentezza, non riuscendo a nascondere un certo compiacimento per l'ottimo lavoro di interdizione svolto dall'ex collega poliziotto Antoine.

Dutroux si asciugò una pinna del naso particolarmente riottosa, camuffando in questo modo una smorfia che senza quel gesto forse sarebbe risultata più feroce.

- Smetta di cercare mio figlio a casa mia ... all’interno delle mie quattro mura!  Dimentichi che la sua sparizione sia dovuta ad una sua scelta deliberata... Io conosco bene mio figlio. Non lo farebbe mai!

Tuonò l'uomo terminando l'eloquio in un crescendo.

- Abbia pazienza Dutroux ... io sono come san Tommaso, mi baso su quello che vedo. A partire da ora, so solo che suo figlio prima di partire per Dijon ha spento e disattivato il suo cellulare. E prima ha cancellato tutti i messaggi degli ultimi giorni dai suoi social ... Ah, e vengo pure a sapere che sempre la sua società di comunicazione, Novalia, sembra si faccia spesso e volentieri promotrice dei rave party...

Rincarò la dose Cedric, stando però attento a non usare un tono perentorio.

Dutroux scosse la testa e provò a ritrovare il naturale ritmo del respiro. Sembrava adesso  disposto a ragionare. 

- Si sbaglia, Bovin... sta prendendo un grosso granchio. I rave party non sono organizzati dalle nostre strutture. Come potremmo? Le sfugge che nel nostro paese sono illegali?! Noi non c’entriamo nulla con l’organizzazione. E poi...mi permetta, quale sarebbe l'anello di congiunzione fra queste due cose? Essere l'amministratore di Novalia mi renderebbe colpevole della sparizione di mio figlio? mi faccia capire...Mi sta accusando di qualche cosa?

Al detective non sfuggiva un certo grado di azzardo nella correlazione. Poteva anche non esserci nessun legame fra le due cose. Ma a lui non importava tanto questo. Non in quel momento, almeno. A Cedric interessava che Dutroux fosse vivo e lottasse insieme a lui.

- Comunque Mr Dutroux, delle due una: o Eric ha deciso di prendersi una settimana sabbatica, sconnettendosi da tutto e tutti ... Ipotesi da preferire, immagino anche per voi... 

Il detective appese la sua frase su quello che doveva sembrare un punto interrogativo.

- Oppure, continuò Cedric, dobbiamo ritornare all'ipotesi che stiamo battendo da ieri: che qualcuno sta provando a tirare un brutto scherzo al nostro Eric ... Ma in questo caso, monsieur Dutroux, le chiedo ancora di fare un altro passo in avanti, fino in fondo e di guardarsi dentro e di dirmi una volta per tutti, a cuore aperto, se sospetta di avere alcuni nemici che abbiano in odio uno o più componenti della sua famiglia ...

L'uomo seguitò a rimanere in silenzio, impassibile, nella sua solita posizone fetale. Cedric notò che adesso le sue mani nervosamente stavano titillando l'interno delle calze di finissimo filo di scozia.

- Lei, monsieur Dutroux, è un uomo di mondo, a lei non la si fa sotto il naso. È questo che in fondo in fondo non le torna ancora, mi dica la verità adesso ... A lei, che si sente un filino al di sopra della legge, non può succedere una cosa del genere... È per questo che lei non capisce, è questo che lei non riesce ancora a comprendere a fondo. Non è cosi, monsieur Dutroux?


Nel pronunciare questa pericolosa filippica, Cedric aveva cercato di calibrare i toni mescolando due sentimenti discordanti che avrebbero potuto bilanciare i sentimenti di Dutroux. Da un lato, rendendo omaggio alla vanagloria dell'architetto, al suo smisurato ego, dall'altro mettendolo davanti alle sue eventuali mancanze.

- Io non ho nemici ... Non c'é nessuno che mi vuole male ... E non mi sento al di sopra della legge …

Ribattè lentamente Dutroux, affidando il suo sguardo pensoso al nulla, incerto se reputarsi offeso dalla sfacciataggine del detective.

- Lei, Monsieur Bovin, lei non sta cercando mio figlio. Lei, mi creda... lei sta cercando forse quel sé stesso che ha smarrito qualche anno fa. E che da allora non ha più ritrovato...

Uno scroscio di pioggia violento e rumoroso parve d’un tratto inghiottire il resto della conversazione, mentre Cedric Bovin non se la sentì di contestare le ultime parole di Dutroux.