FALSO MOVIMENTO




7




Il Baby Luna si trovava a nord della città, in una zona parecchio isolata, lungo la statale che conduceva verso la zona industriale. Una squallida insegna a neon colorati mostrava un’esplicita figura in decolté che ad intervalli irregolari andava denudandosi, fino a mostrare i capezzoli che alla fine del loop esplodevano in una serie di coriandoli. O chissà che cosa. Come stabilito, Cedric e la Nerval, si avviarono verso il poderoso muro di buttafuori che, a scapito del freddo, si pavoneggiavano compiacendosi nel mostrare dalle mezze maniche del bomber i loro impressionanti tatuaggi tribali. Nonostante la coppia fosse provvista della registrazione necessaria per l'accesso, ai quattro ragazzoni non sembrò vero poter fare capannello attorno a Mme Nerval che, da copione o meno, sembrò lusingata da quelle morbose attenzioni. Mentre Cedric intuendo nell'aria un alto tasso di testosterone, non senza qualche difficoltà, riuscì alla fine a sgabbiarsi dal pressing asfissiante degli energumeni. Poco lontano Dutroux, una volta che il portone tagliafuoco li ebbe inghiottiti, diede gas al suo Suv andandosi ad appostare nei paraggi, in attesa di disposizioni e al vaglio di ulteriori eventi.


Al check, una matrona dallo sguardo bovino, sembrava masticare come un rozzo cammello, sfoderando un decolté profondo come un pozzo cieco.  

- E’ la prima volta ? 

Chiese in tono sprezzante, squadrandoli da capo a piedi. 

- Sì...

Dissero i due all’unisono. E Cedric sembrò tradire un po’ di nervosismo e fastidio per tutta quella ridicola messinscena.

- Non siete di queste parti…

Sottolineò la donna cammello, guardandoli in tralice…

- Siete parigini?

- Sì

- In vacanza ?

- Esatto!

Fece Cedric sottolineando con il tono tutta la sua impazianza.

- Sapete le regole vero?

- Sì. Risposero i due all’unisono, qualunque cosa questo significasse.

Alla bigliettaia non sfuggì che un leggero imbarazzo si era creato fra loro. Doveva essere abituata a ben altro vista la peculiarità di quel posto: un locale di scambisti doveva per forza fare sempre quell’effetto straniante per una coppia di neofiti.

- E’ la prima volta dunque ...

Fu la chiosa della signora, che ora li guardava quasi con compassione, se non, con malcelato disprezzo.

Sbrigata la burocrazia, i due firmarono una sorta di consenso senza bene capire cosa fosse, e infine la bigliettaia pretese che lasciassero un documento in custodia. Cedric fu molto contrariato da questa richiesta e provò a protestare. Ma la donna fu intransigente: niente documento, niente entrata. Alla fine dovette cedere consegnando nelle mani della donna la patente a nome Martin Brudel, uno dei diversi documenti falsi che teneva in saccoccia pronti alla bisogna.


Come in tutti i locali che si rispettano, l’open bar era disposto al centro della pista e solo in quel breve raggio tutt’intorno si poteva godere di un’illuminazione appena sufficiente. Mentre la pista da ballo e il resto dei salottini o delle loggette che si snodavano attorno restavano in penombra. L’illuminazione, scarsa e volgare, consisteva in una serie di lampioncini bassi che gradatamente cangiavano colore dal giallo fino al blu passando per tutte le tonalità del rosso e del viola. Per facilitare gli spostamenti fortunatamente sul pavimento si snodavano una serie di segna passi, come i sentieri luminosi di una pista aerea. Qua e là fra una loggetta e l’altra qualche squarcio di luce, debitamente indicata e accuratamente evitata dai clienti. Il buio insomma era così fitto che alla fine della serata Cedric non contava più i lividi procurati dagli infidi angoli dei tavolini in vetro disseminati ovunque e quando meno ce li si aspettasse. Le loggette poi erano invase dal fumo di sigarette di tabacco: evidentemente il sistema d’areazione non stava funzionando se ad un certo punto Cedric ebbe quasi una sorta di mancamento da intossicazione.


A differenza dei locali normali dove non c’è privacy perché tutto deve essere visibile e a misura dell’investimento del partecipante, qui la privacy regnava sovrana. Cedric notò che nessuno aveva il telefono in mano, i selfie sembravano banditi ed ovunque ci si girasse si trovava il cartello in bella vista che sponsorizzava "Peace and Love" all’interno di un grosso arcobaleno. Ogni tanto in mezzo a cotanto buio si scorgeva una poltrona su cui era accucciata una coppia e poi un pouf, qualche altalena ed in agguato sempre quei maledetti spigoli dei tavolini in vetro. Per un momento Cedric si sentì sul set di un film. Un film a luci rosse dove sembrava che prima o poi dovesse succedere qualcosa. Solo che non succedeva nulla. Nemmeno attorno al bar dove sembrava che si addensassero le speranze di tutti. E dove tutti si addensavano, preoccupandosi di fare socialità dietro un immancabile calice di vino che ciclicamente si riempiva e si svuotava.


Insomma da un’ora circa si aggiravano perlustrando il locale, schivando ora quella coppia ora quell’altra, senza ricevere alcun messaggio di riconoscimento. La mezzanotte era appena scoccata e Cedric cominciava un po’ a temere di non riuscire a gestire il suo sangue freddo. Assistere alla copula selvaggia, sentire l’eccitazione di due corpi caldi a due passi da lui, era una sensazione che non riusciva ancora ad immaginare. Lui che, sul sesso era molto discreto oltre che metodico e non avrebbe mai permesso a nessuno di condividere la propria intimità. A giudicare dal via vai incessante dalla zona delle toilet, comunque, sembrava che, almeno da quelle parti, la partita fosse già iniziata. Puliti e immacolati dotati di ogni comfort con preservativi biologici sparsi un po’ dappertutto. Così li trovò. E lì ebbe la prima dimostrazione visibile del particolare taglio del locale, scorgendo due amazzoni nell'atto di voler condividere la gioia a vantaggio di un fortunato cavaliere.  


Forse la sua Annette non sarebbe stata felice di sapere che era stato in un locale di scambisti. Ma tant’è, il suo lavoro lo portava dalle cripte più buie ai bassifondi più squallidi passando anche per posti come questi. Dove le coppie deliberatamente godono nel vedere sbattere il proprio partner. Una evidente malattia dei tempi. Ma del resto non l’unica e nemmeno la peggiore, pensò Cedric. 


Nel frattempo aveva avuto modo di studiare la Nerval che, a parte la minigonna ascellare, sfoggiava una sorta di medaglione che metteva in bella mostra un’enorme croce dorata. Una specie di calamita attira corteggiatori. In appena poco più di un'ora, notò, era già stata uccellata da almeno tre coppie che ne avrebbero fatto polpette tanto insistentemente la marcavano con lo sguardo. Ovviamente la madame ricambiava gli sguardi ammiccanti con gli interessi e solo la stretta censura di Cedric sembrava averne impedito l’azione. Non era per scopare che erano lì, le aveva ricordato Cedric, in uno scatto di nervi. 


 Verso l'una, quando avevano quasi perso la speranza di quell’incontro misterioso, un uomo alto, distinto, con la faccia spigolosa e un anello dorato in corrispondenza dell'orecchio sinistro, si avvicinò a madame Nerval. La donna sembrava sprofondata in un sofà da più di mezz’ora, alle prese con un lungo scambio di messaggi sul cellulare. Atteggiamento che aveva turbato non poco Cedric il quale dalla poltrona di fronte ne osservava tutte le mosse. Il detective pensava adesso che la scelta di quel locale così improvvisa e così affrettata si era dimostrata una totale disfatta. Tutto stava procedendo a rotoli in quell’indagine. La situazione gli era sfuggita di mano, rifletteva amareggiato. E così si ritrovò a passare in rassegna gli errori di quelle ultime ventiquattro ore. Si stizzì quando ripensò ai trasporti: dipendeva totalmente dai suoi committenti per gli spostamenti. Versante alloggio: non aveva potuto decidere l’hotel dove pernottare e riposare durante i tempi morti. Lato ricognizione prove: non aveva potuto seguire il suo istinto, nè aveva avuto tempo per pensare alla concatenazione degli eventi, o per raccogliere testimonianze come avrebbe voluto. Ma la cosa che lo contrariava più di tutto era quel maledetto locale, a dir poco equivoco in cui si trovava. Un posto dove, non solo non c'era nulla da cercare, ma che potenzialmente poteva rappresentare una trappola per sé e per la Nerval. Cercava di capire se c’era una concatenazione fra la telefonata minatoria che aveva ricevuto lui e quella che aveva ricevuto madame Nerval. E certamente ci doveva essere un filo logico, un motivo preciso per cui volevano che la Nerval fosse lì quella sera. E forse la sua presenza stava impedendo che qualcosa succedesse? Niente, nulla era dato di sapere.  


L’alcol che a quell’ora della notte gli scorreva in corpo lo mise di fronte ai suoi due committenti. Che tipo di gente erano davvero Monsieur Dutroux e Madame Nerval? Che mondo frequentavano? Per quale motivo era scomparso Eric? Un ricatto a sfondo estorsivo? Cosa chiedevano questi rapitori? Soldi? Poco probabile. Ma se così fosse stato, perché coinvolgere un detective privato? Sarebbe stato più semplice pagare la richiesta e tutto si sarebbe chiuso lì. E anche se la richiesta fosse stata esorbitante, non avrebbe avuto senso ingaggiare un detective privato: per fare cosa? Per chiedere uno sconto? Improbabile.


Davanti a quella pericolosa resa dei conti, Cedric si rimporverò di non aver studiato abbastanza i due committenti. Sapere di più su di loro avrebbe aiutato a capire che direzione avrebbe preso il figlio. Una cosa era certa: il motivo per il quale non avevano coinvolto il canale ufficiale della polizia non aveva niente a che fare con la storia dei precedenti di Eric con la giustizia. Quella storia faceva acqua da tutte le parti.  Più probabile invece che stessero coprendo qualcosa: qualcosa che riguardava la coppia oppure il figlio stesso. O tutti insieme. 


La sinapsi era quella giusta quando, fra se’ e il treno dei pensieri, si intromise quell'armadione vestito in maniera ricercata, ma che non disdegnava di apparire sopra le righe. Lo vide sedersi accanto alla Nerval e rivolgersi a lei con confidenza, come se l’avesse conosciuta da sempre. La distanza e la musica non permise a Cedric di coglierne il dialogo. Dopo un po’ l’uomo si avvicinò all’orecchio della Nerval e cominciò a soffiarci dentro. Lei sembrò lusingata, mentre Cedric osservava la scena furioso dal suo angolo in penombra. Per lui, la Nerval si comportava come una sgualdrinella in preda all’eccitazione. Si sentì indignato, disgustato e per un attimo indeciso se intervenire e piazzare una scenata che li avrebbe definitivamente liberati da quella farsa. Ma per orgoglio resistette e quando la Nerval lo raggiunse per convincerlo ad unirsi al resto, il detective con un gesto di stizza, trasse indetro il braccio su cui la Nerval si era appoggiata. Lei allora alquanto seccata gli gridò fuori dai denti: 

  - Ma che cazzo fai adesso? Hai visto che quell’uomo mi ha approcciata? Forse è lui il nostro uomo, quello della telefonata. 

   - Dubito di grosso che sia lui.

Ribatté Cedric guardandola con odio. Ma alla Nerval parve non sfuggire un tocco di gelosia.

  - E che cosa dovrei fare adesso io?

Lo rimbrottò lei a muso duro, maggiormente seccata, come se le spigolosità del detective si fossero trasformate tutte in un colpo in un impedimento alla sua felicità. Il led rosso illuminava ad intermittenza il suo volto instupidito su cui aleggiava sospesa la sua impaziente rabbia. 

   - Faccia quello che vuole, se lo porti a letto, ci scopi pure se è questo quello che vuole! Dubito che qui stasera ci sia nessuno che possa darci una mano nelle nostre ricerche. 

La donna si sentì offesa da quelle parole, girò i tacchi e con decisione andò a riprendersi la mano dell’uomo che la attendeva ora con un calice in una mano e il sigaro nell’altra, insieme a quella che doveva essere la sua elegante moglie. 

Da lontano l’uomo fissò Cedric, allargando le braccia, in segno di domanda. Come se avesse voluto chiedergli: beh, che fai? mi lasci da solo con la tua donna adesso, senza pretendere il cambio? Ma Cedric fece finta di ignorarlo, volgendo altrove il suo sguardo sprezzante, a malapena sopprimendo uno sputo che l’avrebbe liberato da quella rabbia che sentiva ribollire dentro sconvolgendolo fino alla pazzia.

Infine il trio scomparve dietro il privè. E a Cedric non restava che devastarsi definitivamente con l’alcol per quella sera. Forse, senza ammetterlo troppo nemmeno a se stesso, la cosa che gli faceva più male era il non essere stato lui oggetto delle attenzioni della provocante Mme Nerval. Una delicata questione aperta, quella fra sé e il suo orgoglio. Una questione che non avrebbe risolto nemmeno quella sera. 


La puntata nr. 8 sarà online sabato 3 dicembre


FALSO MOVIMENTO 



 

 


Mercoledì , 6 dicembre.

Quella notte Cedric non riuscì a chiudere occhio. Si sentiva in preda ad una forte eccitazione, un turbamento puntuto e sofisticato di cui a malapena riusciva a cogliere la natura. La sbornia aveva poi finito per buttare in vacca tutti i suoi propositi di razionalizzazione. Non appena udì cinque rintocchi dall’orologio della vicina Notre Dame stabilì di mettere fine a quello stillicidio. Aveva bisogno di aria fresca. Si ritrovò così per le solitarie vie del centro, quando decise di imbucarsi nella chiesa di Saint Michel. In una cappella laterale il sacrestano stava sistemando un leggio, proprio sotto un dipinto dell’Annunciazione, lì dove da un momento all’altro sembrava dovesse avere luogo il mattinale. Uno sparuto gruppo di vecchiette sedevano già inginocchiate sui freddi banchi di legno. Fece roteare lo sguardo e ammirò le vetrate istoriate che riportavano fra le altre alcune scene della redenzione. Decise di spingersi oltre, sulla navata laterale e prese infine posto sotto un quadro che raffigurava il martirio di San Sebastiano. Provò a rilassare le membra contratte, sintonizzò il respiro e cominciò a lasciarsi pervadere dai benefici afrori dell’incenso.

  

Cedric era un habitué di chiese, basiliche, monasteri ed edifici religiosi. Non tanto perché fosse devoto o avesse una particolare attitudine o predisposizione alla parola del Signore. Non c’era niente di più lontano dalla fede della sua persona. Almeno questo è quello che lui pensava di sé stesso. E non visitava gli edifici religiosi nemmeno con lo spirito certosino del cultore dell’arte o dello studioso di architettura medievale. Quello che probabilmente andava cercando appena si spalancavano le porte di questi maestosi edifici d'altri tempi era l’atmosfera unica e inimitabile che offrivano al loro interno. Adorava quegli spazi di silenzio dove l’aria sembrava avere un altro peso, più leggero, quasi etereo e dove l’anima sembrava vacillare sospesa di fronte alla propria nudità. Era in quell’atmosfera di estremo relax che gli capitava di sentirsi vivo ed in linea con le cose. Era in quei momenti che, nonostante il suo innato pessimismo, pareva convincersi. In fin dei conti, l’essere umano poteva ancora giocarsi qualche chance residua di salvarsi da una sicura e galoppante estinzione.  

  

Era l’alba di mercoledì e di Eric non si avevano ancora tracce. Da quella mattina Cedric aveva deciso che avrebbe fatto a meno di Dutroux e della Nerval. Uscendo aveva consegnato un messaggio inequivocabile alla reception dell’hotel: "Ho deciso di continuare la mia indagine da solo, non mi cercate! ci rivedremo a Parigi". 

Provava rabbia e rancore per la sfacciataggine della Nerval che nemmeno di fronte alla sofferenza per la scomparsa del figlio aveva rinunciato ai suoi famelici appetiti sessuali. Si sentì, inspiegabilmente, tradito dal suo comportamento. Uscito dalla chiesa, provò a guardarsi attorno, sospettoso, nel caso qualcuno lo stesse pedinando. Una leggera nebbiolina sembrava ora scesa sulla piazza rendendo più sinistra l’illuminazione giallognola che andava tingendosi di venature sulfuree. S’incamminò verso il Palais de Ducs. Ne stava completando il perimetro, quando si incuneò verso uno stretto budello che conduceva alla famosa Chouette: di buona lena lo percorse per tutta la sua lunghezza, circa duecento metri. Poi d’improvviso, come in preda ad un raptus, fece dietrofront e prese a correre a crepapelle a ritroso verso le strette viscere da cui era appena provenuto. Nella speranza o timore di sorprendere forse quella maledetta spia che immaginava lo stesse pedinando. E invece, niente. Non c'era nessuna spia.  Alla fine, furioso con sé stesso, con il fiato grosso si imbucò in un bar dell’angolo, che sembrava aver già aperto i battenti. Il proprietario, un uomo tozzo, di mezza età, dalla folta capigliatura nera e con un neo pronunciato in corrispondenza del mento, sembrava armeggiare con una Cimbali nuova di zecca. Sorpreso dalla presenza di un avventore, a quello che doveva essere un orario insolito anche per lui, buttò un veloce sguardo all'indirizzo di Cedric che, in affanno, stava rifiatando per lo sforzo della corsa. 

  - Mi spiace, ancora non siamo aperti. Sto mettendo in moto le macchine del caffè: ho problemi con i filtri …  

  - Non si preoccupi, me ne sto qui per un po’ senza disturbarla. Posso leggere un po’.  

Fu la sua risposta che quasi supplicava ospitalità. 

  - Sono i giornali di ieri…  

Fece l’uomo con un’espressione interrogativa ma senza giudicarlo. 

  - Tranquillo buonuomo, leggo solo le pagine culturali: quelle non hanno tempo. 

L’uomo si strinse nelle spalle e torno a manovrare con cura gli shot della macchina spurgando il vapore dalle tramogge. 

Non appena ritornò il silenzio, Cedric tornò a chiedere. 

  - Mi saprebbe dire se ci sono delle cabine telefoniche nei paraggi? 

L’uomo sembrò riaffiorare dall’interno gli ingranaggi della sua macchina del caffè, per dirigere lo sguardo interrogativo dritto in mezzo alle orecchie di Cedric.  

   - Sa il mio cellulare è guasto, non si accende più…  

Si sentì in dovere di aggiungere.  

  - Se è per questo le posso prestare il mio se deve fare una telefonata. Replicò il barista cui non parve vero di rendersi utile a così buon prezzo quella mattina. 

Cedric parve meravigliato da tanta gentilezza. 

   - No grazie, lei è molto gentile; in realtà non mi serve adesso… mi servirà più tardi. 

  - Non c’è problema, torni più tardi e le darò il mio.

E il barista fece il gesto automatico di consegnarglielo a distanza. 

 

Oltre le mura della città erano spuntate le prime luci dell’alba. Mancava molto ancora per l’orario convenuto all’appuntamento di villa Pirenne. Così, dopo aver ottenuto dal barista qualche informazione raffazzonata sulla scarsa presenza di cabine telefoniche pubbliche in città, il detective si rimise in marcia. E dovette stringersi nel paltò perché nel frattempo delle violente raffiche di vento parvero aver preso di mira gli angoli della città, spazzando definitivamente la coltre di nebbia. Con la testardaggine che gli era familiare, ispezionò uno ad uno i luoghi papabili dove il barista sembrava ricordare la presenza di telefoni pubblici: rue d’Orange, Place de l’Auberge, Avenue de la Libertè. Niente. Nemmeno in quest’ultima via, all’incrocio fra l’Hotel de Ville e la sede della Banca BNP vi era traccia di cabine telefoniche. E d’altronde, anche a volerne trovare, sarebbero state fuori portata dalla linea tranviaria. Ricordava benissimo: su quel punto non si sarebbe potuto sbagliare, la telefonata minatoria arrivava da una strada parecchio trafficata, dove ad intervalli regolari si sentiva lo sferragliare di un tram. Oltre che il rumore dello sfregamento della catena di un cane in cattività.  


Finalmente giunse a piazza Darcy. Fu lì che, oltre Porte Guillaume, a due passi dall’ingresso dei Jardins Darcy, splendidi in tutta la loro magnificenza, gli apparve in tutto in suo splendore una vecchia cabina telefonica, rivestita da un banner pubblicitario di una bandiera dell’Union Jack. A due passi, manco a farlo apposta, le rotaie di due linee di tram e di fianco alla cabina, ancorati al marciapiede, ritrovò le rastrelliere in ferro per il parcheggio delle bici. Tutto tornava. Ed ecco scovato il posto da dove era partita la telefonata minatoria. Certo non era molto, ma era qualcosa. Ci avrebbe pensato nel corso della sua giornata.  


Nel frattempo s’era fatta l’ora. Appena all’angolo di Boulevard de Sévigné, si decise a fermare un taxi che l’avrebbe condotto dapprima a Place de la Republique. Qui, pretese che il taxi si fermasse in terza fila e, pagata la corsa con 50 euro, senza richiedere il resto, s’imbucò furtivamente in un nuovo taxi, in mezzo ad un via vai di auto strombazzanti che lo seppellirono sotto ad un muro di claxon. Stava cercando di seminare qualcuno, forse un fantasma, se mai lo stesse pedinando. Si sentì stupido. Ma tant’era. Le precauzioni non erano mai troppe. 

La corsa era ricominciata: questa volta in direzione Montchapet. Cedric sorrise facendo l’occhiolino al tassista che incredulo lo guardava dallo specchio retrovisore. 

 

Pochi minuti dopo fu accolto con cordialità nella monumentale villa stile Art Nouveau della famiglia di Yvonne. Il padre, Gerard  Pirenne, uno stimato avvocato penalista di Dijon, lo aveva ricevuto con il garbo dell’uomo di mondo all’interno del suo studio privato. Subito dopo, giusto il tempo di un amabile scambio di battute, erano stati raggiunti dalla moglie e da Yvonne: una figura giunonica, longilinea, dai capelli bicolore, che dall’alto della sua statura, sembrava dominare tutto e tutti. La ragazza prese posto nella poltrona accanto al detective, senza neppure degnarlo di uno sguardo. Il padre che rimaneva in posa elegante dietro alla scrivania sembrò un po’ dispiaciuto dalla scortesia della figlia, alla quale indirizzò uno sguardo interrogativo. All'acme dell'imbarazzo, arrivò il commiato della madre, sottolineato da un leggero colpetto di tosse, con cui si allontanò dopo un inchino appena accennato.  

  - Facciamo in fretta papà! Ho compito in classe oggi: latino. E non vorrei fare tardi.  

Cedric si sentì in dovere di intervenire, schiarendosi la voce. 

  - Sì, ma sì certo, sarà una questione di poco. Solo qualche domanda e poi la lascerò libera, si figuri. E cercò comprensione negli occhi di Gerard Pirenne, ottenendola. 

Non sarebbe stato semplice vincere la diffidenza di Yvonne, questo era chiaro. E quel suo sguardo freddo e sarcastico era fatto apposta per scoraggiare ogni maledetta interrogazione. Ma Cedric provò ad entrare subito nel vivo della questione, a gamba tesa. 

   - Perché sabato notte hai lasciato da solo Eric dopo una certa ora? 

 - Veramente è stato lui a mollarmi!

Rispose lei con una smorfia da adolescente, mantenendo un atteggiamento a metà fra l’infastidito e l’indifferente, senza mai distogliere lo sguardo dal padre.   

   - Perché? Spiegami, come avete passato la serata insieme… 

Cedric la sorprese a roteare platealmente gli occhi, sbuffando pesantemente. E solo dopo un’occhiata severa del padre, sembrò risolversi a parlare. 

  - Ma certo! Eric ed io abbiamo trascorso quasi tutta la serata insieme. Forse chissà ci piacevamo...Probabilmente saremmo pure andati a letto, se solo l’avessi ritrovato … Eh sì, nonostante ci conoscessimo da poco (perché, sa, lo conoscevo solo per chat, in video) mi era sempre piaciuto il suo carattere. Sembrava diverso dagli altri...  

Fu quello il modo di rispondere di Yvonne, nel tentativo evidente di canzonare il detective e facendo finta di recitare un copione che aveva mandato a memoria. Non appena s’interruppe, cercò di fulminare con sguardo sprezzante il detective. 

Ma Cedric non cadde nella trappola e proseguì serafico. 

   - Bene, mi fa piacere. Di cosa avete parlato?  

Yvonne sembrò reprimere un moto di rabbia, come se la banalità di quelle domande le provocasse un dolore lancinante al basso ventre. 

   - Chi cazzo si ricorda di cosa abbiamo parlato?  

Alzò la voce sfidando il detective per la prima volta e guardandolo fisso negli occhi. 

Il padre allora si sentì in dovere di intervenire, redarguendo la figlia con tono paterno. 

   - Yvonne cara, sappiamo che questa situazione ti sta provocando tanto stress, ma il signor Bovin sta solo facendo il suo lavoro. Eric è scomparso e questa è una notizia terribile. Ed è nell’interesse di tutti ritrovarlo al più presto.  

La ragazza sembrò accettare le parole garbate del padre, verso il quale sembrava nutrire una venerazione incondizionata.  

   - Era fatto? Aveva fumato o assunto droghe pesanti? 

Incalzò allora Cedric, dopo aver incassato l’endorsement del padre. 

   - Non mi era sembrato ... So molto bene come ci si sente in quelle condizioni. Lui era lucido quella sera...

Yvonne era rientrata adesso nei giusti accenti, con la giusta punteggiatura. Per quanto continuasse ad evitare lo sguardo di Cedric. Ad incoraggiarla era stata forse la tenacia del comportamento del detective che, a fronte delle sue intemperanze, non si era lasciato scomporre. 

 -   L’avevi mai visto prima d’ora? 

 -  No non lo conoscevo di persona, voglio dire non lo avevo mai incontrato personalmente. Ma conoscevo i suoi amici Jean e Brun. 

 -  E come facevi a conoscere i due ragazzi parigini? Li avevi già incontrati in altre occasioni? 

 -  Si, loro li avevo già incontrati a Parigi ... in un’altra occasione questa estate, ad uno dei nostri incontri.  

Al netto del suo atteggiamento indisponente, l’impressione che Cedric ebbe di Yvonne, fin dal primo scambio di battute, fu quella di una ragazza decisa, dal piglio serioso, non incline alle smancerie e molto più matura della sua giovane età. Nonostante ciò cozzasse con l’aspetto fisico e con il suo look. Non doveva essere troppo difficile capire chi frequentasse solo ad un primo rapido colpo d’occhio. Capelli lisci bicolore, un nostril piercing che le dava l’aria di un torello furioso alla costante ricerca di un panno rosso, una pesante calzamaglia color carne coperta da una stretta gonna di lana e un ampio maglione irregolare, dai colori più disparati. La raccolta dati poteva bastare a catalogarla fra le giovani promesse alternative, con background multi culturalista, inclusivo, spiccatamente anti sistema, antifascista “anti” tutto, tipico degli ambienti sinistroidi giovanili.  

  -  Tu dici che sembrava diverso dagli altri … Puoi provare a ricordare di che avete parlato per tutta la serata? 

  -  Le solite stronzate che si dicono quando si hanno 18 anni e si fa ancora puzza di latte. 

  -  E quali sarebbero queste stronzate…

Incalzò Cedric guardando Gerard Pirenne come a voler ricevere approvazione dal tono e dall’andazzo di quella conversazione. 

  - Voleva andare in Sudamerica, tutto qua. Sono i sogni che abbiamo tutti da giovani: girare il mondo, sentirsi liberi, non sottomessi a nessuna costrizione o regola… Sudamerica, Africa o Nuova Zelanda… che importanza ha il posto? 

Cedric sentì che se voleva mettere a frutto il suo poco tempo, doveva affondare più in profondità. 

  - Parlami dei vostri raduni. 

  - Non si chiamano così... si chiamano show meeting. 

  - In qualunque modo si chiamino... sai chi li organizza? 

  - È un circuito alternativo. Ci si contatta su una piattaforma online e di volta in volta ci si dà appuntamento in un posto diverso. E comunque sono sempre diversi: una volta si tratta di incontri musicali, altre volte sono incontri artistici, letterari, poetici... 

   - Interessante … e dove vengono organizzati questi show meeting?  

   - Ovunque! la scelta del posto è a carico del comitato: nel caso di incontri musicali è un impianto industriale nelle periferie industriale dismesso.  

   - Il comitato, dici… ma chi sono questi del comitato? 

La ragazza diede una veloce occhiata al padre che annuì, incoraggiandola a continuare. 

   - Immagino siano quelli di Novalia.   

   - Ossia?  

Lei ritornò a sbuffare impaziente. Mentre Cedric, temendo di perdere la buona vena della ragazza, si schermì, scusandosi per il ritmo incalzante delle domande. Ma Yvonne ormai si mostrava più cedevole. Sapeva che tanto più avesse collaborato, prima sarebbe stata libera di andare. 

  - Novalia è una piattaforma online con diversi contenuti, la trovi online su internet. 

  - Fammi capire. 

Disse lui cercando la sua complicità.  

  -  Capisci: s i t o i n t e r n e t? W e b a p p?  

Gridò lei, tornando a sfidarlo, certificandogli una volta per tutte che non sarebbe stata mai sua amica. 

 - Capisco grosso modo…

Ribatté il detective cui non sfuggivano tutte le spigolosità caratteriali della fanciulla. 

  - E chi frequenta il sito?

Nel frattempo, Cedric si era appuntato qualcosa su un taccuino. 

  -  È fra i più esclusivi think tank  in Francia...

Ci tenne ad aggiungere lei, con una punta d’orgoglio. 

  - Prova a raccontarmi. 

 - Non ho altro da raccontare, devo solo correre al compito di latino.

Aggiunse Yvonne, nel tono menefreghista di una indomabile monella. E lì Cedric comprese che quella conversazione non poteva produrre ulteriori sbocchi.  

 - Un'ultima cosa ... stiamo per ottenere i tabulati del cellulare di Eric, compresi i messaggi... C'è qualche altra cosa che devo sapere? 

Yvonne lo fissò freddamente per un istante più del dovuto. Poi scosse la testa, fece un cenno di saluto al padre e uscì senza guardarlo.  

 

Il cancello automatico si aprì con un bip intermittente, discreto, come la melodia di un dispositivo digitale. Il taxi era appena arrivato e lo attendeva dall’altra parte della strada. Prima di imbucarsi diede un’occhiata alla città che si estendeva in basso con i comignoli fumanti. Gli avevano detto che da quella posizione, nelle belle giornate estive,si poteva vedere addirittura il Monte Rosa e parte delle Alpi Cozie. Ma i nuvoloni che arrivavano da sud non promettevano nulla di buono. Cedric era frastornato e pensieroso. Non tanto per il racconto di Yvonne ma perché parte della sua giornata sarebbe dovuta trascorrere a capire con Alain cosa diavolo fosse accaduto con le telecamere del suo appartamento di Montparnasse.