FALSO MOVIMENTO
15
Sabato, 9 dicembre.
Si svegliò tardi quella mattina. Un fascio di luce obliqua lo stava tagliando in due in corrispondenza dell'addome. Senza nemmeno lavarsi la faccia, aprì la porta scorrevole e si sporse dal balcone. Era un tranquillo sabato di metà dicembre. Faceva freddo per quanto il sole sembrava ruggire incontrastato nel mezzo di un cielo blu oltremare. A breve la Canebière, un paio di blocchi più giù, si sarebbe riempita di orde di oziosi bighelloni alla ricerca disperata di un frammento di atmosfera natalizia.
Cedric non pote' fare a meno di ritornare con il pensiero alla farsa della serata appena trascorsa. L'amarezza era il sentimento che più di tutti lo rappresentava in quello scorcio di mattinata. Figurarsi se un aspirante boss del narcotraffico, di caratura nazionale, sarebbe stato così ingenuo da cadere nella trappola allestitagli insieme a quell'altro smarmittato di Hippo. Dopotutto,perché uno come Pascal, che aveva in mano le chiavi del traffico di droga della città, avrebbe dovuto scomodarsi per incontrarli? nel cuore di una notte in cui diavoli e luciferi sembravano essersi dati appuntamento in un luogo così sperduto e impervio come la Nerthe? Oltre all'amarezza, dovette far fronte ad un feroce impulso allo scoramento e ad un attacco ancora più puntuto di disistima di sè e delle proprie capacità. Di quelli che facevano male sul serio. Poi, respirando a pieni polmoni la fresca aria del mattino, si disse che non era il momento giusto per cedere al vittimismo. Bisognava passare in revisione le cose, i fatti, e lasciare da parte gli atteggiamenti negativi.
Alla fine, come forse era più normale aspettarsi, si erano presentati gli scagnozzi di Pascal. Due nerboruti ragazzoni neri con l'aria truce che, dall'alto della loro massiccia corporatura, avevano preteso, non senza minacce, di poter visionare i loro documenti. Senza battere ciglio, Cedric aveva rovistato in una delle tasche interne del palto' da dove aveva tirato fuori il passaporto di uno dei suoi avatar: Nicolas Meret. Lo stesso aveva fatto il suo compagno la cui notorietà, almeno in città, non poteva permettergli però alcun tipo di sotterfugio. I due scimmioni, dopo aver ispezionato alla luce dei cellulari i loro documenti, cercando riscontro nelle rispettive facce, avevano preteso di tenerli per sé.
- Che significa che li tenete voi?
Si era ribellato Hippo, cui la delusione per non aver incontrato Pascal si era in certo qual modo compensata con l'altissimo tasso di adrenalina che ancora teneva in corpo.
- Le teniamo noi, perché El Chapo vuole così. L'avete scomodato voi, o mi sbaglio?
Ribatté in maniera abrasiva il più muscoloso dei due.
- Se è per questo, sarebbe dovuto essere adesso qua ..e invece non c'è...
Il tizio lo guardò in maniera dura, quasi sfidandolo a sostenere il contrario.
- Facciamo le cose per bene, ragazzi... Io devo difendere la mia reputazione; sono un uomo di comunicazione, lo capite questo... immagino?
Rilanciò Hippo a metà fra il conciliante e l'infastidito.
- Il tuo documento non c'interessa, vecchio ... Sappiamo chi sei e sappiamo dove possiamo venire a prenderti. In ogni istante...
Cosi' dicendo, lo sguardo dei tre si indirizzo' su un serafico Cedric. Il quale si trovo' ad oscillare la testa in segno di assenso, producendosi in una leggera smorfia di approvazione con le labbra.
- Per me non c'è problema. Potete fare tutti i controlli incrociati del caso. Me lo restituirete domani all'appuntamento con il vostro Chapo, come lo chiamate voi. Per me l'importante è incontrarlo. E vengo in pace.
Si ritrovò pochi minuti dopo assorto nei pensieri, in un'ampia sala a vetri che lasciava intravedere parte del cielo sopra la sua testa. Mentre era intento a fare colazione, lento e con gli occhi a metà socchiusi dal sonno, al suo tavolo si presentarono due tizi distinti, in giacca e cravatta.
Abbagliato da quell'insolito fascio di luce cui da troppo tempo non sembrava avvezzo, finì d'istinto per indossare i suoi immancabili occhiali da sole che teneva sempre in una delle tasche del paltò. Ora che li aveva messi a fuoco ebbe la netta impressione che quegli uomini non gli portassero niente di buono. I due si sedettero al suo fianco, in silenzio, lo sguardo duro e, prima di aprire bocca, gli mostrarono due tesserini della gendarmerie. Cedric provo' come un pugno allo stomaco quando gli parve di riconoscere in uno dei due uomini quel cliente raffinato del Baby Luna, che fumava sigari profumatissimi, e che quella sera sembro' abbordare con successo Mme Nerval.
I due si guardarono in cagnesco. L'uomo finse di non riconoscerlo.
- È lei l'ex poliziotto Cedric Bovin?
Gli s'indirizzò con aria grave.
Cedric negò d’istinto. L’uomo, rimase in silenzio fissandolo con severità al di sopra della sua imponente stazza. Cedric capì che non c' era da scherzare.
- Sì, sono io Bovin, di che si tratta?
Riuscì ad articolare a mala pena, forbendosi la bocca con un tovagliolo di panno.
- Vedi, nei nostri ambienti siamo abituati a non andare troppo per il sottile. Disse l’altro, il più anziano dei due che nascondeva il mento incassato dietro un folto pizzo nero a punta, ben curato. E al suo impercettibile movimento, Cedric si accorse che indossava uno spesso orecchino a forma d'anello sull’orecchio sinistro.
- Non capisco…
- Ora ti spiego un po’ la nostra filosofia di vita: se noi becchiamo qualcuno che possa avere contatti intensi e ripetuti con un possibile criminale, a noi già basta per prenderti e sbatterti in galera come fiancheggiatore del malvivente.
Fece l’anziano, producendosi in una smorfia cattiva.
- Non so se è chiaro...
Replicò l’altro con tono perentorio.
- No scusate, non ci sono, mi spiace, non ho raccolto...
Titubò Cedric, ma forse in cuor suo voleva solo non aver capito o sentito. E maledisse in cuor suo la scelta azzardata della pista del Chapo, che si stava rivelando più complicata del previsto.
- Bene, rispieghiamo ancora una volta al ragazzo, Laurent, ci pensi tu? Non tutti possono avere il dono dell’immediatezza di comprensione.
Sembrò sbottare in maniera sarcastica l’agente anziano, fingendosi spazientito e lasciando spazio al collega.
Anche Laurent sorrise in maniera maliziosa, con una punta di cattiveria. Stavolta tolse gli occhiali da sole per non lasciare niente di non detto.
- Mettiamola così Bovin: tu lavori per Gerard Dutroux, giusto?
Cedric assenti' lentamente, come se rimanesse interdetto dalle parole dell'uomo.
- Dunque, se tu lavori per il signor Dutroux, noi lavoriamo invece .... per la giustizia.
I due gendarmi si lanciarono in un perfido sguardo d'intesa.
- Noi, cioe', siamo della parte del giusto. Ti è chiaro tutto fin qua?
Ribatté l'altro masticando nervosamente una chewing gum.
L'uomo mostrò ancora una volta il distintivo della gendarmerie con, quella che si poteva intuire, la propria foto. Come a voler sgombrare qualsiasi dubbio dal campo. Fece una pausa per vedere se Cedric avesse afferrato adesso.
- Ti teniamo per le palle, Cedric! E se ti chiederemo di farci di tanto in tanto un favore, non potrai negarci la tua collaborazione. Quindi ricorda: noi siamo dalla parte dello Stato e tu invece sei quello che dialoga con i malviventi...
Sorrise l’anziano facendo l’occhiolino al camerata.
- Signori, credo che ci sia uno sbaglio. Tentò di opporsi Cedric.
Ma sembrava tutto molto tardi ormai.
- No no, nessuno sbaglio.
S’affrettò a replicare in maniera flemmatica Laurent.
- C’è soltanto la tua parola contro la nostra, nel caso tu non voglia collaborare. E se proprio sarai così sprovveduto da non accettare, coraggio, le manette per qualche tempo non hanno mai fatto male a nessuno: ti spingeremo nel bel mezzo del circo …fra i leoni, lo capisci vero? E allora ci sarà da ridere ...
Concluse l’anziano, incrociando i polsi.
- Nel caso invece della tua piena collaborazione, sarai il benvenuto nella nostra squadra. Ti risparmierai un sacco di problemi. Credimi...
Incalzò Laurent che fece un cenno di assenso all’anziano.
Questi si alzò di scatto e con breve movimento della mano lasciò scoperto il cane di una pistola.
- Laurent, dai a Bovin le ultime consegne e filiamo.
Laurent rovistò nella tasca della sua giacca, ne estrasse un cellulare nuovo fiammante e lo posò sul tavolino. Poi aprì il suo portafogli, pescò un bancomat che consegnò con cura sulla superficie ben levigata del tavolino. Come ultimo atto, mise le mani in tasca e tirò fuori un mazzo di chiavi d’auto.
- Avevamo pensato, se non siamo troppo indiscreti, di comunicare con una nostra linea speciale; avrai poi di certo bisogno di un fondo spese e di un’auto normale per spostarti in piena efficienza.
- E' una Citroen C4, nera fiammante, decappottabile, parcheggiata all’angolo de rue d'Oran. So che non sei un grande pilota... Ma te la caverai...
- Bene, come ultima consegna, prima delle direttive vere, che arriveranno presto nelle prossime ore, non c’è bisogno di dirti che dovrai da questo momento in poi fare il doppio gioco con il signor Dutroux. Quindi, si capovolge la clessidra: siamo noi a tenere d’occhio te adesso...
E si lanciò fischiettando un armonioso motivetto.
- Ma Laurent, non c’è bisogno di dirlo, il ragazzo è già abbastanza sveglio. Sa perfettamente che non deve fare parola con nessuno di questo piacevole incontro... meno che mai con i suoi amici parigini... Specialmente se giornalisti...
Aggiunse perfidamente l’anziano che si prodigò subito dopo in un teatrale saluto militaresco.
Laurent si avvicinò infine all’orecchio di Cedric e gli sussurrò sorridente:
- Ricordati, mio caro, ti teniamo per le palle! Occhio al telefono!
E sparirono dietro l’angolo della sala vuota, così come erano arrivati.
Frastornato. Cedric uscì dalla sala colazione, dopo aver lasciato la mancia sul tavolino, dal quale aveva raccolto lentamente le reliquie lasciate in dono dai due criminali. Le scrutò fra le mani, come a volerne esaminare la reale esistenza. Sembrava incredulo. Non riusciva a convincersi che quanto accaduto pochi minuti prima fosse potuto davvero succedere a lui. Si diresse verso la sua camera,in trance, indifferente al saluto del concierge che, avendo visto uscire quei due uomini distinti poco prima, lesse ora nel pallore e nella preoccupazione di Cedric le conseguenze di una probabile disgrazia. Infilandosi in ascensore Cedric si ripeté che aveva un problema. Un altro grosso problema. Scomodò anche il suo macchinoso apparato decisionale al quale aveva lanciato importanti segnali d’aiuto. Ma gli mancava la lucidità: si ricordò di aver avuto un’impressione simile qualche anno prima, al cospetto di pesanti minacce ricevute vis a vis. Ma questi tipi qua, si diceva, non erano malviventi tradizionali. Non nel senso stretto del termine, almeno. Trovò finalmente, per quanto magra fosse la soddisfazione di averla trovata, la parola che cercava da un po': servizi deviati, ecco chi e cosa erano. Un termine che aveva sempre faticato a situare nella realtà di ogni giorno e che comunque considerava uno dei tanti orpelli del complesso corredo di terminologia che i giornalisti malati di letteratura noir o spy avevano inventato per descrivere le spie corrotte di alcuni settori dello stato. E così, si schernì quasi sorridendo, era diventato un informatore operativo. Ripetè a voce alta, come a testare se le sue funzioni vitali fossero ancora tutte là.
-Cedric Bovin ... Informatore operativo! Agente di una cellula evidentemente deviata dei servizi, ma senza che sapesse ancora quale fosse la sua missione… Chapeu...
Ripetè in maniera beffarda, senza riuscire a reprimere un sorriso isterico, che prolungò nella chiara intenzione di autobiasimarsi. Il punto però non era nemmeno quello. Il vero problema a questo punto era un altro: scoprire per conto di chi avrebbe dovuto lavorare. E per quale motivo.
Come se tutto ciò non bastasse, Cedric aveva un altro grosso problema da risolvere quella mattina. Pur preso dall'adrenalina che il caso Eric gli stava spillando goccia a goccia, non aveva smesso di pensare alla sua Annette, vittima anche lei di una fastidiosa telefonata minatoria. Per un istante aveva temuto che questa storia avrebbe potuto arrecarle del male. Poi si era tranquillizzato, confidando nella tempra dura e coriacea della donna. Cosa non era capace di fare o di dire Annette per svoltare tutte le situazioni anche le più ingarbE in quel momento sentì che le mancava. Le mancava il suo profumo, i suoi abbracci, il suo corpo caldo e vibrante. Le mancavano i suoi occhi grandi che non fallivano mai di scandagliarlo nel profondo. Ad un tratto sentì sotto pelle il colore della depressione: la schiena dolorante, la cervicale a pezzi, la sorda lenta espansione di un fastidioso dolore lombare. Si sentiva un po' stordito, con i muscoli indolenziti e il cuore che si era lanciato in una delle sue furiose fughe in avanti, a galoppo. Un cane malato. Ecco come si sentiva. Ovunque si girasse gli sembrava di trovare nemici, bestie assetate del suo sangue.
Cercò di respirare profondamente come talvolta gli capitava di fare, quando il cielo sopra la testa diventava così buio da non permettergli nemmeno di rifiatare. Si ritrovò per terra, sopra un cuscino, nella posizione della candela, mentre affidava le sue ansie alla regolarità di un respiro. Provo' a concentrarsi sulle sue narici. Il respiro si inerpicava lentamente su per le narici e ne usciva purificato. Si impose di non pensare a niente. Anzi fece quell'esercizio che le aveva insegnato Annette. Le sue narici erano diventate come una sorta di stazione. Ogni lungo respiro portava un pensiero che, giunto in stazione, si fermava lasciando scendere il suo ospite. Per poi ripartire uscendo leggero dalla stazione. E dopo un quarto d'ora tutto gli sembrò diventare un pò più sopportabile.
Un bip intermittente lo risveglio' da quel caldo torpore in cui sembrava sprofondato. Si alzò di botto dal tappeto, si toccò il collo, completamente madido di sudore. D'istinto cercò qualche oggetto nella stanza che potesse ricordargli quel brutto sogno. Sperò fortemente di non trovarlo. Poi il suo sguardo si posò sul tavolino all’entrata della stanza dove aveva lasciato le reliquie ricevute in dono: chiave, cellulare, bancomat con attaccato il relativo codice pin. Il bip cessò. Scosse la testa e andò a cacciarsi sotto la doccia. Uscì dopo dieci minuti e, ancora protetto dall’ accappatoio caldo sentì per una seconda volta quel fastidioso bip ad intermittenza. Solo dopo una decina di secondi realizzò che era lo squillo del telefono dal vivo.
- Cedric ci sei ?
- Alain ? Che c'è ...
- Accendi la TV in questo momento su Antenne 2.
"... Ricordiamo ...si è ucciso sparandosi un colpo di pistola alla tempia durante una perquisizione effettuata dalle Guardie di Finanza nell'ambito dell'inchiesta incentrata sulla Cascata di Parigi, un grande centro congressi nato nel mezzo del quartiere della Defènse e mai ultimato. Così è morto questa mattina nella sua abitazione di Bonneuil sur Marne, a sud est di Parigi, il famoso architetto Gerard Dutroux... 54 anni, una vita spesa per la professione che gli ha regalato gioie e ultimamente anche molti dolori... Verso le 8 di stamattina gli agenti avrebbero bussato a casa sua per eseguire un mandato di arresto nei suoi confronti su disposizione del pm della Procura ... Da quanto appreso, ma le notizie si rincorrono minuto su minuto, l'architetto dopo aver letto il provvedimento, avrebbe chiesto agli agenti di poter andare in camera da letto per vestirsi. Una volta dentro avrebbe preso una pistola dall'armadio e, davanti agli agenti increduli, con questa si sarebbe ucciso. In casa in quel momento non c'era la moglie..."
FALSO MOVIMENTO
16
Rientrò a Parigi con il primo TGV del pomeriggio. Prima che il treno entrasse in stazione a Montparnasse provo' una sorta di imbarazzo nel sentirsi di nuovo felice nel suo elemento. Una cortina di nebbia era da poco scesa in città e il dolce sferragliare del convoglio sugli ultimi scambi sembrò consegnarlo rinato alla sua città. Dutroux era ormai morto. Mentre Cedric, ritrovatosi senza committente principale, trovo' assurdo proseguire a Marsiglia quella sgangherata investigazione che lo aveva messo di fronte a diversi e inaspettati pericoli. Il bilancio del suo tour al sud non poteva che essere negativo. E il grado di frustrazione che aveva ormai accumulato dall'inizio di quella indagine aveva colmato ogni misura. Non era però per mancanza di ulteriori stimoli sul caso che aveva deciso di lasciare la città. La sua indagine sarebbe potuta ripartire ancora da Parigi dove certamente aveva bisogno di riallineare una serie di fuori squadra che lo tenevano in pena. E magari dalla capitale avrebbe potuto schiarirsi le idee sulle traiettorie percorse da Eric.
Non era un mistero che a Marsiglia avesse trovato ancora più problemi di quanti ne avesse portati appresso da Dijon. Alla Goulette aveva rischiato di rimanerci secco, nell'ostinato inseguimento di una pista suggerita da Yvonne. Ma invece di trovare risposte su Eric, sembrava aver incrociato una sorta di guerra fratricida interna alle diverse anime dell'ampia comunità musulmana in città. Cosi almeno recitavano gli ultimi notiziari in televisione. Lo stesso Hippo Bazan ne era convinto. Nei tempi morti, a bordo della Renault rosso fiammante, gli aveva raccontato di quando il vecchio Bousur, nel pieno delle sue forze e di tutte le sue facoltà, qualche anno prima, aveva mediato fra le varie frange estreme.
- L'imam Tariq Bousur non era certamente né uno stupido né un sognatore... Anche se negli ultimi tempi si era un po' rincoglionito. Ma è stato solo grazie a lui se per anni gli arabi, una componente decisiva in questa città... hanno vissuto in pace ... anche dopo gli attentati terroristici di Parigi e Nizza da parte dell'Isis ...
Ma negli ultimi mesi qualcosa di potente sembrava essere accaduto sotto il cielo di Marsiglia. L'Isis non solo era dilagato fra i giovani musulmani di terza e quarta generazione, ma aveva attinto forze fresche al sostegno della Jihad anche fra i giovani occidentali. Queste nuove leve cresciute nel mito della guerra porta a porta all'infedele cristiano avevano finito per imbrigliare l'ala sunnita più moderata. Ad uno ad uno, gli esponenti moderati in città erano stati fatti fuori, con metodi truculenti e con azioni dall'alto valore dimostrativo. La Goulette non era altro che l'eliminazione dell'ennesimo scomodo nemico interno. La disamina di Hippo sembrava confermare quanto lo stesso Cedric aveva intuito per bocca del commissario Rivet la mattina precedentente.
Cercare Eric nel mezzo di quel ginepraio avrebbe significato, a questo punto, nutrire forti sospetti che lo stesso giovane potesse essere in qualche modo coinvolto nell'omicidio di Tariq Bousur. Ipotesi plausibile che Eric non escludeva a priori. E andando a ritroso, supporre anche che Eric e i suoi amici fossero stati attratti dentro alla banda da Pascal, cedendo a quella sorta di macabro fascino che alcune teste calde "bianche" parevano subire arruolandosi nell'esercito dei Foreign Fighters. La radicalizzazione delle cellule dormienti, come la chiamavano i giornali. Che era quanto da qualche anno ormai avveniva dappertutto, nei maggiori centri della Francia e di tutta Europa.
Ma se anche quella poteva davvero rivelarsi la giusta pista da seguire, appariva difficile ora, con il polverone che l'attentato aveva sollevato, pensare di poter scovare con facilità Eric. A questo punto sarebbe stato probabilmente più utile e sicuro ritornare a torchiare Jean e Bruno da un lato, e indagare su quanta parte di Eric ci potesse essere nel clamoroso suicidio dell'architetto.
La stessa pista su El Chapo gli sembrò bruciata ormai. Nonostante le promesse per bocca dei suoi scagnozzi di rifarsi vivo l'indomani mattina entro mezzogiorno, lo scaltro trafficante sembrava a sua volta non aver abboccato all'amo. L'idea di poterlo solo avvicinare con la scusa di un affare collegato al suo business, si era rivelata davvero pessima e la magra figura accampata da parte della premiata ditta Hippo & Cedric sembrava adesso rivelarsi in tutta la sua perentorietà. La sconfitta, in realtà, era arrivata nel momento stesso in cui El Chapo aveva requisito il suo documento. Il falso documento avrebbe fornito solo qualche ora di incertezza sulla sua identità. Alla prova concreta di un giro di telefonate, l'incertezza si sarebbe automaticamente dissipata. E il Chapo avrebbe capito che si trattava di una trappola o di un tentativo di raggiro.
Pertanto, non aveva più nulla da fare a Marsiglia, si era detto ormai a ridosso dell'ora di pranzo. A maggior ragione se a tenerlo d'occhio sembravano ormai in tanti. Anzi in troppi. Anche se ne ignorava i motivi, sentiva che con la morte di Dutroux, i due agenti segreti o sedicenti tali, avrebbero avuto forse meno motivazioni per tornare a minacciarlo. Una cosa era certa. Per niente al mondo avrebbe tenuto il cellulare che gli avevano consegnato né si sarebbe lontanamente sognato di guidare quell'auto che sorprendentemente gli avevano affidato.
Sul treno per Parigi aveva avuto modo di plasmare la sua interpretazione dei fatti. Sospettava che i due uomini fossero sulle calcagna di Dutroux. Ossia che, per qualche ragione legata all'inchiesta a carico dell'architetto, i servizi segreti stessero pedinando l'archistar. Che lo avessero seguito da Parigi nel loro percorso comune fino a Dijon. E che lo stalking si fosse sdoppiato quel giorno in cui Cedric aveva deciso di proseguire in solitaria per Marsiglia. Non solo. Dal momento che i due agenti avevano captato che a Marsiglia Cedric si era dato da fare per venire a contatto con il mondo della malavita e dello spaccio, prestando così il fianco alla sua ricattabilità, ecco che i due uomini avevano fatto scattare il loro piano parallelo.
E insomma, quali altre motivazione avrebbero potuto spingere quegli agenti a minacciarlo? ad usare quelle strane parole? ti teniamo per le palle, lo stato siamo noi, torneremo a farci sentire... E la dotazione ricevuta di un cellulare, una carta di credito e addirittura di un'auto per facilitare i suoi spostamenti? Cos'altro poteva rappresentare se non una brutale forma di arruolamento coatto alle loro dipendenze? Certo era impossibile dire con certezza se le cose fossero andate in quel modo. Ma anche ammettendo che fosse andata così, ora, morto Dutroux, quale sarebbe stato il suo nuovo ruolo? Questo Cedric lo ignorava, per quanto la pista Dutroux sembrava essere l'unica in grado di giustificare l'irruzione dei servizi segreti nella sua vita. Almeno così si auguro' di cuore a chiusura della lunga sinapsi.
Il Taxi che da Montparnasse lo portava a casa attraversò il Quartier Latin stranamente vuoto a quell'ora, per un sabato sera. Ad un certo punto Cedric avverti' un gesto di disappunto del tassista. Ecco dov'erano finiti tutti. Il Lungosenna sembrava in festa, nonostante facesse molto freddo. All’altezza di Le Castellet stava sfilando un rumoroso corteo che aveva bloccato completamente il traffico nell'una e nell'altra direzione. A bordo del taxi, vide sfilare a poco a poco degli operai in cassintegrazione che gridavano slogan di lotta politica, di appartenenza e di giustizia sociale. Tutti indossavano dei curiosi gilet gialli. E per un po' si commiserò: com’era potuto diventare così insensibile alla classe sociale a cui apparteneva da ragazzo la propria famiglia? E che cos’era questo fastidio che sembrava affiorare ogni volta che qualcuno provava a buttarla in politica? Come poteva aver sviluppato questo cinismo nei confronti di tutto e di tutti?
Vista la ressa al centro, Cedric decise di scendere dal taxi e di proseguire a piedi. In pochi minuti costeggiò l’Arsenal per infiltrarsi nel dedalo di viuzze del Marais. Cedric adorava il suo quartiere, così discreto, così familiare. Cosi tranquillo, forse anche troppo! abitato da squadriglie di tardone che in bici o a piedi o in velo amavano risalire come salmoni il corso di Rue de la Tourenne, la rue de Francs Bourgoeois o i portici di Place des Vosges dove, con fare curioso amavano fermarsi ad ogni bottega artigianale, atelier di moda o ad ogni officina di artisti, commentando da sole oppure anche richiamando l'attenzione di qualche sconosciuto passante, sulla bellezza o sulla particolarità dei lavori esposti in vetrina. Le sue adorabili vecchiette. Ora che lo attraversava in silenzio, nella tranquillità della sera, ovattato dalla nebbiolina che ne rendeva le viuzze ancora più intime, pensava che non c'era a Parigi un altro quartiere con cui avrebbe fatto a cambio.
La prima cosa che generalmente faceva appena tornato a casa era quella di ascoltare la segreteria telefonica. Sembrava strano ma quella sera trovo' solamente due messaggi. Entrambi arrivavano dalla costa bretone. Il primo era di suo papà che gli ricordava di farsi vivo. Dal paesino di Finisterre, poteva quasi sentire il ruggito dell’oceano che si confondeva con il piglio deciso quasi autoritario di Monsieur Bovin/Lo Bue senior. Mentre il secondo messaggio proveniva da qualche sperduta villa presidenziale nei pressi di Concarneau. Il bip gli ricordo' la data di rilascio. Martedì 5 dicembre, 2017 ore 9.03. La sua Annette gli dichiarava tutto il suo amore ma soprattutto gli confidava di avere una voglia matta di lui, e che alla bisogna si era trovata già un paio di volte a varcare le soglie della pudicizia, autoregolamentandosi di conseguenza. Quanto basta.
Dal contatore seleziono' le chiamate perse e in corrispondenza di un numero sconosciuto lesse il numero 28. Strano che, a fronte di tutte quelle telefonate, Annette non avesse lasciato altri messaggi in segreteria per il resto della settimana. Strano che non avesse provato ad accennare nella segreteria telefonica di quelle telefonate minatorie. Per questo motivo, cominciò a temere che Annette si trovasse davvero in pericolo.