FALSO MOVIMENTO
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E invece l’archistar parigina, in Francia come altrove, aveva finito col litigare con tutti. Ed era finito nel mirino per un conto troppo salato del suo studio. La procura stava indagando da mesi ormai sui super costi dei 33 piani progettati da Dutroux, che sarebbero stati adibiti ad uffici del Ministero della Difesa. «Un pozzo senza fondo» lo aveva definito il procuratore che aveva in mano il fascicolo e che stimava attorno agli otto milioni di euro il danno erariale per l’amministrazione. Per una valutazione ufficiale sulla parcella chiesta, il magistrato aveva chiesto una consulenza all'Ordine degli architetti: il responso ne era stato che il compenso pagato all'architetto superava di 4 milioni la tariffa prevista dalle tabelle professionali.
L'altro grande progetto dove lo studio di Dutroux era al lavoro con un cantiere ultra decennale era la Cascata di Parigi, il nuovo centro congressi che dovrebbe sorgere nell'esclusivo quartiere de la Défense. Una Cascata di guai, di ritardi e di spese, dove certo, pagava il privato ma anche il Comune e lo Stato nella componente del ministero del Tesoro. Il costo previsto dalla gara d'appalto era di 272 milioni, ma negli anni il conto era lievitato a 415. Il parcellone di Dutroux, 12 anni impegnato nel progetto, si aggirava attorno ai 20 milioni, pari quasi a 1000 anni di stipendio di un architetto di provincia, e per un'opera incompiuta per giunta.
Certo le colpe di questi ritardi non erano da imputare solamente allo studio Dutroux: le numerose varianti in corso d’opera ne avevano dapprima raddoppiato poi triplicato i tempi di esecuzione con un aumento dei costi esponenziale, anche a causa di un eccessivo ricorso ai subappalti.
«La spesa per la parcella del progettista, al di là di ogni più generoso riferimento alle tabelle professionali, appare incredibilmente spropositata, così da chiedersi se la somma debba ritenersi giustificata» aveva sentenziato la Corte in un primo stralcio del processo. Ma Dutroux se ne fregava. Il suo canovaccio era sempre lo stesso: prima incassare, poi mandare a quel paese tutti. «Mi hanno fatto fuori, forse perché vogliono avere mano libera sull'opera. Sono stato preso nella trappola di Parigi perché volevo fare qualcosa per la mia città». Troppa generosità insomma.
E così, dopo aver sollevato un polverone a Parigi e dintorni, parcella dopo parcella, il suo studio viaggiava a gonfie vele, incassando lavori prestigiosi specie fuori dalla Francia, in Russia, o in Cina, dove incontrava meno problemi.
Nel frattempo si andava delineando il suo profilo pubblico, svelando al mondo un carattere a dir poco problematico. Una volta aveva incontrato l'ex capo della Protezione civile in un ristorante a Londra e lo aveva insultato violentemente, con tanto di rissa finale. “È meglio che le mani le usi per il mestiere, che gli rende bene” scrissero i giornali, il giorno dopo. Ma nessuno scandalo, nè la sua iracondia e meno che mai una zuffetta fuori programma, sembravano scalfire la sua fame di ricchezze. E in poco meno di due decenni era riuscito a mettere insieme 6 immobili a Parigi, due piani alla Defense, e una ventina di vani nel cuore del centro storico: nel XIII arrondissement a due passi dal Trocadero. Mentre fuori città la sua pesca si era indirizzata verso le classiche mete estive: una villa a Bonneuil sur Marne, una nelle vicinanze di Arcachon a due passi da Dunes du Pilat, un’altra sulla splendida Costa Azzura appena fuori Tolone e una in Corsica, meta radical chic di svariati vip dell’Intellighenzia sinistroide. Ultima acquisizione, sulla falsa riga di diversi vip del jet set parigino, un dammuso sull’isola di Pantelleria in Sicilia, con mini vigneto terrazzato. Insomma davvero niente male per uno che, almeno all’inizio della carriera, si diceva ispirato dal credo marxista. Non erano passate sotto traccia, ai tempi dell’Università, le sue posizioni estremiste, secondo cui il compito principale della Politica Marxista "non era semplicemente quello di analizzare la società capitalista ma quello di cambiare radicalmente il mondo". Almeno da quanto si leggeva, dalla quarta di copertina della sua tesi di Laurea.
Cedric rifletteva su tutto quello che l’amico Alain Leclair gli aveva raccontato di Dutroux quella notte. Strano come un uomo che aveva imparato a conoscere debole, incerto, indifeso, quasi ritroso e timido nei suoi atteggiamenti, potesse in realtà nascondere un pedigree così contorto. A guardarlo da lontano, ma anche da vicino non l’avrebbe mai ritenuto capace di quanto gli veniva imputato.
Non era infrequente che Cedric ad un certo punto delle indagini si trovasse in una sorta di impasse. Per un motivo o per un altro non riusciva più a seguire un filo logico, se mai ne avesse seguito uno dall’inizio di quella avventura. Tutto gli sembrava così campato in aria, così irrilevante. La sua teoria della sottrazione all'osso era andata a farsi benedire. Di fatti, prove e indizi non ne aveva raccolto un granchè. Se anche avesse dovuto escluderne alcuni, questo di certo non gli avrebbe depositato in mano la verità. Quello su cui si ritrovava a lavorare erano solo dettagli di piste. Di quella tipologia che si ferma molto prima di ogni riscontro fattuale. Avrebbe forse dovuto scavare più a fondo nella vita di Madame Nerval? Forse. Si rimproverava una certa leggerezza nella gestione del caso. Aveva tralasciato per esempio fino a quel giorno di mettere sotto torchio le uniche persone che avrebbero davvero potuto aiutare a capire davvero chi fosse e come fosse Eric: i suoi genitori.
Cosa sapeva di Mme Nerval? Del suo rapporto passato con il marito? A parte il loro burrascoso presente e un triste passato fatto di ripicche, scontri, veleni e gelosie, poco altro. Niente che non fosse un'istantanea dettata dalle circostanze. Madame Nerval con la sua carica erotica, quella specie di insaziabile mangiauomini, che a dispetto della sua frivolezza e studiata superficialità sembrava sapere bene sempre da che parte tirasse il vento, come sfruttarne la spinta o come mettersene al riparo. Di lei sapeva molto meno rispetto a quanto era venuto a sapere di Dutroux. Ma a torto o a ragione, era convinto che scavare su di lei sarebbe stata solo una perdita di tempo.
Cedric l’aveva battezzata troppo vacua per aver solo potuto costruire alcunché nel corso della sua esistenza. Se si escludeva il matrimonio, all’interno del quale, aveva intuito, valevano le tacite regole del libertinaggio reciproco, non sembrava aver sviluppato interessi personali o particolari reti di amicizie o influenze diverse da quelle dell'archistar. E infatti, a 44 anni suonati, quasi 10 meno del marito poteva contare su poche pochissime persone che non fossero collegate al rapporto del precedente matrimonio.
I soli argomenti che si riusciva a toccare con lei riguardavano shopping, moda, e gossip dell’alta società parigina. Per molto meno, la donna avrebbe ispirato una delle fatidiche metafore del detective. Metafora che non tardò ad arrivare. Una donna così era l’equivalente di una torta Saint Honore’: la cui bellezza statuaria si sposava alla leggerezza e alla bontà incondizionata della sua sfoglia. Ma una volta ingurgitata ti lasciava quel senso di inspiegabile insoddisfazione. Ecco cos’era madame Nerval: una torta pomposa piena di piccole bolle d’aria, ricca all’esterno ma terribilmente vuota dentro.
Dutroux invece, a dispetto della sua fama o anche grazie a quella, si era dimostrato un personaggio dall'enorme peso specifico, ma greve, legato mani e piedi al sistema politico, da cui traeva le sue fortune. Chissà a quale prezzo. Un personaggio che proprio per sua natura e per il suo ruolo risultava divisivo: invidiato e odiato allo stesso tempo. E lì la ragione si perdeva in tanti rivoli. In quasi trent’anni di carriera Dutroux aveva potuto farsi centinaia di nemici che adesso l'avrebbero voluto e potuto ricattare. E come se non bastasse, allo stesso tempo, l'uomo risultava coinvolto in una non ben precisata società di comunicazione, una sorta di massoneria melensa, secondo quanto gli riferiva il giornalista Leclair, che raccoglieva le migliori menti e i migliori portafogli di Parigi: Veterania. Di questa società segreta esisteva l’equivalente in forma giovanile, Novalia, che provava a raccogliere online il favore dei figli dei rampolli, indirizzandone scelte e gusti, oltre che influenzarne abitudini e frequentazioni.
Nonostante la sua avversione ai sistemi tecnologici, Cedric dovette trascorrere il resto della nottata nella sala internet-cafè della hall dell'hotel, a scandagliare il profondo web in cerca di altre informazioni su quelle due società. Senza riuscire peraltro a saperne molto di più.
Su una sola questione il detective aveva raggiunto a quel punto un minimo di verità. Con due genitori così, non c’era da meravigliarsi se Eric, compiuti i diciotto anni, avesse deciso di sparire dai loro radar. E far perdere le sue tracce per qualche tempo, se non per sempre. Ma c’erano troppe incongruenze sull’ipotesi di una fuga deliberata da parte del giovanotto. Ad esempio, il denaro. Chiunque avesse programmato una fuga, si sarebbe per lo meno munito di un grosso quantitativo di cash. Invece non vi era traccia di nessun prelievo sospetto antecedente alla sua sparizione. Almeno fino a quel martedì, gli aveva notificato l’angelo biondo di Tolosa, il poliziotto Antoine che si era ben speso anche sulle visure bancarie del desaparecido. Si sapeva che ad Eric erano collegati due conti, così come confermato da Dutroux. Ma l’ultimo movimento, un prelievo di 100 euro, risaliva a più di una settimana prima. Impossibile, diceva a sé stesso il detective, che con quella somma in tasca si possa pensare ad una fuga in alcun posto che non sia nel giardino di casa propria. Meno che mai in Sudamerica, come facevano eco le parole di Yvonne che continavano a tornare a galla.
Giovedì, 7 dicembre.
Se Cedric sembrò lasciarsi convincere, fu per pura convenienza strumentale. Muoversi in campagna senza auto sarebbe stato improponibile e il monastero di Citeaux sembrava troppo fuori rotta per avventurarcisi coi mezzi pubblici. Era comunque giunto quella sera ad un compromesso con Dutroux. Avrebbero continuato insieme la loro indagine ma a patto che l'architetto si fosse sbarazzato della ex moglie. La determinazione con cui Cedric aveva proposto lo scambio all’architetto quella sera aveva stupito entrambi. E l’accordo fra i due uomini sembrò allentare le tensioni delle ultime ore, ristabilendo una nuova tregua.
L'indomani di buon mattino Madame Nerval, nera in volto, fu vista uscire dall'hotel e imboccare furiosamente il primo taxi per la stazione. Senza rimorsi di sorta i due uomini si diedero appuntamento a colazione per poi montare subito dopo sul Suv che Dutroux lanciò a tutta velocità sulla E 17 in direzione Beaune. In campagna trovarono qualche grado in meno rispetto a Dijon e non appena furono sul piazzale quasi deserto dell’abbazia di Citeaux, Cedric si sorprese a scrollare la testa nella gelida brezza decembrile, producendosi in un verso animalesco, come a voler scaricare freddo e tensione allo stesso tempo.
-Non mi pare un posto particolarmente popolato...
Sillabò Dutroux, producendo dalla bocca un getto intermittente di nuvole di fumo lunghe e dritte.
-Non è il posto che ci si aspetta...
Rispose laconico Cedric, cercando di scorgere l’entrata, da uno dei due varchi nel possente muro di cinta.
Ad intuito scelse il cancello sulla sinistra oltre il quale una falla fra gli alberi secolari, lasciava intravedere quello che sembrava uno spicchio di navata di una cappella. Passarono oltre i bagni e si ritrovarono davanti ad un cartello con gli orari di apertura dell’abbazia. Con un gesto appena accennato di stizza Cedric informò Dutroux che il complesso sarebbe stato chiuso quel giorno, essendo di giovedì. Dutroux sembrò assorbire la cattiva notizia rimanendo immobile, mentre le sue narici fumanti ad intervalli regolari gli conferivano l’aria di un toro minaccioso.
- E ora che si fa?
Toccò a Dutroux di rompere il silenzio generato dalla delusione.
Cedric tacque portandosi innanzi al cancello. Sentì una fastidiosa sensazione, come se i propositi di tregua con Dutroux, avessero generato una sorta di strano affiatamento fra loro. E si sentì a disagio. Spiò a destra e a sinistra oltre le inferriate del cancello e subito dopo si mise a perlustrare le mura alla ricerca di un campanello. Ci doveva pur essere da qualche parte un citofono che permetteva di comunicare da fuori con i monaci. Ad ispezione ultimata, dovette arrendersi. Niente citofono.
Dutroux calpestando i grossi ciottoli di ghiaia grigiastra lo aveva intanto raggiunto, mostrandogli lo schermo del cellulare mentre stava per inoltrare una chiamata.
-Ho appena trovato il numero su internet. Ci dovrà pur rispondere qualcuno, no? E nel finire la frase, non riuscì a sopprimere un’espressione di vago compiacimento per la sua trovata.
Ma aveva cantato vittoria troppo presto, poiché dopo una decina di squilli, il telefono si ritrovò in modalità segreteria. Né ebbe maggior successo riprovandoci.
Nonostante il fiasco che sembrava profilarsi, Cedric tentò di cogliere il lato positivo. Provò intanto a respirare a pieni polmoni l’aria di campagna carica di fresco concime. Ne avrebbero beneficiato i suoi bronchi. Poi si rifece gli occhi allargando lo sguardo alla campagna circostante, immersa in un verde ordinato e ammantata di una nebbiolina appena accennata. E per un lungo istante, in quell’atmosfera sospesa, si godette il silenzio profondo della valle. Di tanto in tanto, dalla vicina statale, arrivava il rumore frisciante della scia di un automobile sull’ asfalto reso viscido dalla lieve pioggerellina. Tutto sembrava perfetto, tranne ovviamente la presenza di Dutroux. Quando non era alle prese con qualche grana telefonica del suo ufficio si chiudeva in un silenzio ostinato. Ogni tanto scuoteva la testa, borbottava qualcosa, senza sapere bene cosa. E tornava ad attaccarsi al suo auricolare.
- Qua non c’è nulla che possiamo fare adesso se non pregare.
Cedric cercò di allentare la tensione.
- Nemmeno quello possiamo fare. La chiesa è sprangata e non pare ci sia anima viva qua intorno.
Rispose Dutroux al quale, rifletté Cedric, non avrebbe certo fatto difetto un po’ più di ironia.
Decisero quindi di rimettersi in macchina ma prima di partire Cedric indicò a Dutroux di costeggiare la fattoria che sorgeva accanto, all'ombra delle mura dell’abbazia. Il Suv si insinuò fra le pozzanghere di una strada sterrata e dopo l’ennesima chicane si arrestò al centro di in un enorme piazzale. Da lì si aveva accesso ad una serie di capannoni: un fienile, diverse stalle e un grande deposito centrale con il portone aperto. Cedric intuì movimento all'interno. Qualcuno stava armeggiando con un trattore. Indossava una tuta azzurra e sembrava resistere ad ogni loro tentativo di approccio.
Nonostante li avesse ben notati, il fattore non esitò ad avviare il motore del trattore provocando un fragoroso rumore e sprazzi di fumo nero di gasolio che in breve finirono per saturare l'intera stalla. Cedric si fece schermo con il braccio e provò a penetrare le dense nuvole di fumo.
- Hey, questa è proprietà privata.
Irruppe ad un certo punto il burbero contadino, che lasciato il trattore in folle e sollevatosi i piedi dalla postazione di guida, a brutto muso, fece intendere chiaramente che non erano i benvenuti.
- Scusi tanto.
Ribatté Cedric alzando le mani e assumendo un’aria educatamente colpevole.
Il Dioscuro, dall’alto dei sui due metri di altezza restò per un bel po’ in silenzio, staccando lo sguardo ora in primo piano su Cedric ora su Dutroux che rimaneva sullo sfondo.
Per quanto inopportuno, Cedric decise di presentarsi.
- Signore ci spiace disturbare ma siamo turisti, veniamo da Parigi e pensavamo che il Monastero fosse aperto oggi. Che Lei sappia, c’è un modo per visitare la chiesa, anche per pochi minuti?
Il nerboruto villico gli diede un’ultima occhiata, poi raccolse i suoi effluvi e sputò a terra. Contemporaneamente si munì di una lunga leva di ferro che prelevò dalla cabina del trattore e si apprestò a scendere minacciosamente dal mezzo.
- Hey hey amico, veniamo in pace…
Gridò Cedric incredulo delle cattive intenzioni dell'uomo.
Non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che l' ombra dell'uomo sembrò piombare sulla sua sagoma. Cedric arretrò e quando comprese che le sole parole non lo avrebbero salvato, girò i tacchi e prese a fuggire disperatamente, gridando all’indirizzo di Dutroux che era rimasto nei pressi della auto:
- Metti in moto, cazzo, metti in moto!.
Il detective si sentì disperatamente il fiato sul collo e una sensazione come se il cuore gli uscisse dalla cassa toracica, quando puntando dritto alla portiera si infilò al volo nell’abitacolo del Suv che, sgommando sullo sterro polveroso, si allontanò velocemente. Non troppo in realtà da evitare un fendente di zappa con il quale il villico riuscì a tirare giù il lunotto posteriore della vettura dell'architetto.
Sbucati fuori dalla strada sterrata, Cedric e Dutroux si guardarono per un istante negli occhi, incerti se essere contenti per aver scampato il pericolo o furiosi per l’assurda insensatezza di quella violenza. Rimasero in silenzio per quasi tutto il tragitto che li vide rientrare a Dijon. Dutroux, nervoso, picchettava sullo sterzo fissando ogni istante lo specchietto retrovisore. Non aveva fornito nessun commento a quella follia, né Cedric ebbe voglia di condividere con lui i suoi pensieri o, tanto meno, di rincuorarlo. Eppure, quell’incredibile incidente aveva, nella mente del detective, contribuito a scagionare l'architetto. Cedric non sapeva bene da cosa e per quale motivo.
Che stupidità la sua, rimuginava il detective, mentre il Suv di Dutroux provava a farsi largo nella stretta via davanti al Lycée Les Arcades. Per un attimo ebbe vergogna del suo titolo di detective, davanti alla Hall of Fame della categoria. Inseguire la pista di un profumo, rilevato sulla cornetta di un telefono pubblico, indirizzato dall'arroganza di un profumiere conteso da due tardone compiacenti dei suoi favori. Un'altra breve istantanea, il fiasco della serata al Baby Luna, lo colse alla sprovvista. E si stupì del buon gioco della sua emotività. Fin quando, spostando un pò di mobilia nella mente, provò a ritrovare il piglio del suo ex capo alla Polizia, Monsieur Vigneron. La sua meticolosità, il suo riserbo, la capacità di maneggiare la materia con estrema freddezza, con distacco. Con acume e sensibilità. Cedric si ritrovò sospeso e agganciato a quella cella mentale dalla quale non sarebbe mai voluto scendere.
Poi scorse da lontano l’imponente sagoma di Yvonne varcare il cancello del prestigioso Istituto privato. E corse ad intercettarla.
FALSO MOVIMENTO
12
Si arriva alla Gare de Saint Charles dopo aver attraversato quasi per intero due dei quartieri più problematici di Marsiglia, il XIV° e il XV° arrondissement che, insieme al XVI°, hanno fama di essere fra i più poveri e malandati della Francia metropolitana. A dispetto della nordica Parigi, Marsiglia è lì in bocca al Mediterraneo, con il suo formidabile Vecchio Porto difeso via mare da un’invalicabile insenatura e via terra dall’onnipresente Notre Dame de la Garde.
Da Gare de Dijon, il TGV lo aveva sbarcato in poco più di 4 ore nell’altra Francia. Non senza qualche imprevisto. In effetti, il viaggio si era dimostrato a dir poco rocambolesco. Non solo perché dovette affrontarlo in buona parte all’impiedi, visto lo scarso preavviso della sua partenza. Ma soprattutto perché, nei pressi di Chalons sur Saone, subito dopo la coincidenza con il TGV da Parigi, il convoglio dovette rimanere fermo in mezzo alla campagna, bloccato per quasi più di un’ora. Dalle notizie che serpeggiarono, sembrava a causa di una minaccia terroristica. Poi risultata infondata. Addirittura, in un eccesso di protagonismo, Cedric aveva pensato ad un sabotaggio nei suoi confronti. Ma sembrava chiaro che, a parte Yvonne, nessuno quel giovedì pomeriggio potesse sapere della sua improvvisa partenza per il sud del paese.
Le indicazioni della giunonica fanciulla stavolta sembrarono risultare più utili, almeno in confronto a quelle del loro primo incontro. Nonostante lei non avesse fatto niente per nascondere anche stavolta l' antipatia nei confronti del detective. Tanto che Cedric restò con il dubbio. Se imputare la nuova verve della ragazza all’intenzione di sbarazzarsi in fretta della sua presenza.
- Le è arrivato infine l’incarico, no?
Aveva quasi tossicchiato Yvonne, con quella sua voce sgraziata, rauca e vagamente mascolina, resa ancora più ruvida da decine di sigarette giornaliere, non appena se l’era visto sbucare inaspettatamente sul piazzale del Liceo.
Lui ebbe il tempo di accennare un sorriso; stupito, in certo qual modo, da quella domanda.
- Ho deciso di mandarla in vacanza a Marsiglia … detective.
Continuò lei in maniera beffarda, a suo modo divertita, mentre Cedric provava a districarsi fra una lunga fila di auto e una fiumana di studenti che a quell’ora rendevano lo stretto budello di Avenues des Arches una sorta di antro delle belve.
- Immagino che lei conosca Marsiglia, no?
Rilanciò dopo aver letto un’impressione interdetta nel volto dell’uomo.
- Non molto, arrivò secca la replica, ma non è un problema. E per fare cosa, a Marsiglia...?
- Bene, allora vedi di procurarti una guida ben dettagliata...
Replicò Yvonne, passando in maniera disinvolta dal Lei al Tu e abbandonando definitivamente quell’espressione di finta cordialità che pareva avere dipinta sul volto.
- Il mio amico pare che abbia imboccato una brutta strada…
Aggiunse subito dopo con una nota teatrale ma malinconica.
Per stare al passo, Cedric dovette quasi inserire la vista panoramica. Con un occhio e un orecchio concentrato a non perdersi nulla di quanto distillasse Yvonne. E con l’altra sua metà attenta e vigile a non finire schiacciato sotto alle ruote di una delle tante auto incrociate che sfilavano a passo d’uomo.
-Cosa devo fare? Che cosa significa tutto questo?
Chiese poi rassegnato ma deciso, arrivando a bloccarle in tempo con un ginocchio lo sportello dell’auto sulla quale Yvonne si era improvvisamente imbucata.
In un gesto d'irritazione la ragazza parve cercare qualcosa sul cellulare, poi aprì lo zaino, ne estrasse un blocchetto, ci vergo’ sopra qualcosa con una penna, ne strappò la pagina e gliela consegno’. Con il suo solito sorriso sprezzante lo aveva già congedato. Un istante dopo, dal finestrino che si aprì improvvisamente dall'abitacolo, sbucò la testa canuta dell’avvocato Pirenne dal quale Cedric ricevette un breve cenno d’intesa e solidarietà. Un gesto che conosceva già in quell’uomo.
Cedric aveva vagliato più volte la possibilita' di liberarsi di quella strana storia, andando a spifferare tutto alla polizia. Ma aveva sempre desisitito. In una girandola di impressioni ed emozioni aveva prima incentrato la scomparsa di Eric sul sospetto di un regolamento di conti tutto interno alla famiglia Dutroux. Poi, per ragioni opposte, aveva passato per dare credito alla versione di Dutroux, immedesimandosi nello shock dei due genitori. Per virare infine in corso d'opera, dopo aver incrociato i dati di Antoine, sulla fuga deliberata del ragazzo. Quali che fossero le sue nuove sensazioni, stavolta aveva deciso di non raccontare piu niente all’architetto. Anzi Cedric aveva osato di più. Da quel momento aveva deciso di fare a meno anche della sua compagnia. Stavolta sul serio, disse fra sé deciso. E nel comunicare a Dutroux la sua decisione, prima di separarsene, aveva letto in quegli occhi piccoli e perduti, tutta la disperazione di un uomo ricco, famoso e incredibilmente solo. Un uomo a cui la condizione di super privilegiato non solo non aveva risolto il problema in astratto della felicità, ma che non pareva memmeno più capace di godersi le piccole gioie della vita quotidiana.
Si ritrovo’ sul piazzale interno di Saint Charles, facendosi largo fra un nugolo di viaggiatori. Ritardatari, penso’ Cedric o pendolari di rientro a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Dopo aver respirato dense boccate di catrame e petrolio dai tubi di scappamento di una lunga fila di taxi incolonnati, finalmente arrivò il suo turno. Destinazione Goulette, come leggeva e rileggeva su quel foglietto vergato a mano da Yvonne. A caccia di un certo Tariq Bousur.
La sua esperienza di discreto viaggiatore gli riporto' alla memoria una Goulette ben più' famosa, quella di Tunisi, luogo di villegiatura a due passi da Cartagine dove ricordava con piacere di aver assistito ad un bellissimo concerto di Chab Chaled, qualche anno prima del tormentone di Addidii, che avrebbe visto consegnare la fama del cantante algerino al pubblico di mezzo mondo. Con disappunto scoprì invece che la Goulette di Marsiglia non era quell'ampio e arioso quartiere dall'intenso odor di gelsomini nordafricani. E non era nemmeno un quartiere. Il suo range di possibilita' aveva contemplato che potesse rivelarsi in un hotel o al limite una pensione. Invece era uno dei Casino’ club fra i più famosi in Francia. Decisamente sfarzoso e upper class. Con una una splendida posizione di fronte al mare e una della più' belle vedute di Marsiglia. Cosi' gli aveva spiegato il conducente del taxi nel suo incerto mix di francese marocchino. Il quale parve, a dire il vero, parecchio stupito dopo aver intuito che Cedric non avesse la benchè minima idea di cosa fosse la Goulette. Fu allora che lo sguardo del tassista, fino ad allora impersonale, fece capolino dallo specchietto retrovisore senza risparmiargli il suo severo giudizio. Comunque nel dubbio l'uomo gli aveva spillato 40 euro per la tariffa notturna. Troppo comodo, pensò Cedric, andare in giro con un tassametro guasto.
La Goulette si presentava bene, seppure ancora in ristrutturazione. Si trattava di un enorme veliero dismesso, adagiato su un braccio di mare di fronte all'isolotto di If e a Les Iles, a tre quattrocento metri dalla Anse de la fausse Monnaie, oltre cui si estendeva il vacanziero quartiere di Endoume. La serata era calda per essere decembrile. Un leggero scirocco proveniente dalla marina pareva aver bruciato tutta la vegetazione intorno, lasciando spazio a distese di cemento armato che avevano finito per inghiottire il lungomare da capo a piedi.
Cedric supero’ un pontile attraversando un portone spalancato. Con circospezione penetro’ in una ampia hall deserta, fiocamente illuminata. Le vetrate a giorno restituivano il profilo della costa, quello che alle luci del giorno doveva essere un panorama mozzafiato. Tutto lì dentro faceva odore di nuovo, a partire dalla moquette da poco installata, immagino' Cedric. Si trovava nella pancia del veliero. Si avvicinò al desk e suono’ il campanello cercando di attirare l' attenzione. Cosa che non sembro' dimostrarsi fruttuosa. Si accostò allora alla tenda e solo dopo aver percorso un paio di gradini si vide costretto a scostarne i drappi. Alla vista gli si aprì un'ampia sala da pranzo, arredata con stile moderno. Per un attimo ebbe come la sensazione di trovarsi in uno di quei ristoranti chic su una lussuosa nave da crociera.
Lo trovo' seduto all'angolo del bar, dove una lunga serie di poltroncine, di vero cuoio indiano, si diramavano a raggera verso la prua della nave. Era alle prese con il fornellino di un nargilè al gusto di mela, a giudicare dal profumo. Sembro' non stupirsi della presenza di Cedric che si produsse in un breve ma deciso saluto. Tariq Bousour non alzo' neppure lo sguardo scorgendolo di sottecchi. Sembrava stranamente aspettarlo.
-Lo sai perche' i nordafricani si sentono a casa a Marsiglia ?
Debuttò quando il silenzio per la presenza di Cedric era diventato troppo assordante.
-No, non saprei
Rispose Cedric, interdetto da quella strana accoglienza.
- Sei troppo giovane tu per capire che cosa sono state le guerre di indipendenza …
Disse senza ancora aver avuto il piacere o la curiosita' di dare un volto a quella voce.
-... E si', che cosa ci si può aspettare da chi ti ha fatto del male, tanto male? Se non un'accoglienza da re...
Aggiunse poi, decidendo che fosse ora di regalargli uno sguardo.
Cedric rimase in silenzio, assistendo al modo rapace in cui quegli occhi di lince e quel profilo aquilino, dai contorni mediterranei del sud, dal colorito di brunastro, come spesso si trovano sotto il 37 parallelo, lo scrutassero in un veloce e acuto sguardo da capo a piedi. L'uomo gli fece cenno di accomodarsi vicino a lui, con gentilezza studiata.
-Sei siciliano tu? ...
Lo interrogò dopo una lunga pausa.
La domanda colse Cedric Bovin impreparato. Nessuno a primo acchitto l'aveva mai associato all'isola più grande del Mediterraneo. Per quanto la sua figura in certo qual modo rispondesse ai tratti somatici di un italiano del sud: bruno, con il colofre della pelle tendente all’olivastro, un leggero giropanza che tradiva il suo essere una buona forchetta, e una particolare espressività degli occhi dovuta alla loro complessa mobilità.
-Sì, sono siciliano da parte di padre.
Ammise candidamente Cedric senza nascondere la meraviglia per quella domanda che sembrava buttata lì.
-Scusi, ma lei come fa a saperlo ?
Si affrettò a domandare interdetto.
L’uomo ricambio’ divertito il suo sguardo parimenti sveglio e vivace.
-A forza di studiare la gente, alla mia età si diventa fisionomisti. Specie in una città come Marsiglia dove di gallico sono rimasti solo i polli.
A Cedric non era sfuggita l’intenzione del vecchio di carpire la sua benevolenza.
Tuttavia Cedric si riservò di rimanere guardingo e impermeabile alle emozioni, come da anni ormai studiava di fare.
-A primo acchitto si capisce che sei siciliano... dalla luce negli occhi. Quella non sbaglia mai. La profondità dello sguardo ... la mobilità degli occhi...
Cedric sembro’ non voler abboccare a questo tentativo di condiscendenza del vecchio nei suoi confronti. Ma il vecchio parve voler sostenere fino in fondo la sua tesi.
-Si capisce che sei italiano ... anche da come apri la bocca. Ognuna delle lingue, vedi... ha dei suoni particolari che allenano i diversi muscoli della bocca e delle labbra ...
-E un siciliano da cosa differisce da un italiano ?
Chiese Cedric che non seppe fare a meno di incuriosirsi di quella stramba teoria.
-Dall’uso del mento.
Replicò il vecchio a tempo come se attendesse quella domanda.
-Davvero ?
Ribatté un meravigliato Cedric sorprendendosi a fare le prove con il suo mento.
-Un siciliano quando non parla, a riposo, spesso lascia scivolare il mento all’indietro. Non mi dica che non l’ha notato mai ?
Cedric fece fatica a sopprimere uno sbuffo di ilarità, non dopo aver provato e riprovato a tirare il mento all’indietro.
-Ma io comunque non parlo nè italiano nè tanto meno il siciliano.
Concluse divertito Cedric.
I due si scambiarono un leggero sorriso guardandosi negli occhi. Cedric si era nel frattempo accomodato, quando il vecchio tunisino, alzatosi di scatto, come la sua eta' non sembrava potergli permettere più bruschi mivimenti, propose invece di seguirlo sulla tolda del veliero.
Si rese conto dell’ora tarda solo dopo essere uscito dalla Goulette. Al tassista non dovette consegnare alcun indirizzo. L'uomo, un nordafricano, aveva gia' avuto le consegne. A quell’ora era stato il vecchio Bousur a consigliare a Bovin un tranquillo hotel del centro e a prenotare per lui un taxi. Di certo, rifletté Cedric, non avrebbe potuto contare su quel tassista per ottenere alcun tipo di informazione più approfondita sulla storia della Goulette e del suo stravagante gestore, Tariq Bosour. E il silenzio di sospetto e distanza con cui si tinse il breve tragitto dalla Goulette al centro città, lo spinsero alla convinzione che da lì in avanti non ci sarebbero stati suoi movimenti in città non tracciati. Superata la vecchia via d'accesso al Vieux Port, il tassista taglio' con decisione per quella che sembrava una grande via imbandita già con i festoni natalizi. Rispetto al disordinato viavai dei quartieri intorno, quella parte di citta’ gli parve scarsamente trafficata e di certo più austera e monumentale. L'orologio sul campanile di una enorme chiesa barocca aveva appena spostato le lancette sulle 23,35.
Il taxi lo lascio' davanti all'albergo, Le Chevalier, un 5 stelle plus, che si presentava con una scalinata imponente attraversata da uno spesso tappeto blu con le orlature dorate. Dal portone girevole vide sbucare un maggiordomo bardato in livrea, anch'essa blu e oro. Un po’ troppo oltre i suoi standard, penso’, ma a quell’ora della notte, dopo una giornata come quella, non avrebbe cambiato hotel per nulla al mondo. Fu velocemente introdotto nella hall, dove il concierge aveva gia' predisposto la scheda di registrazione della stanza. Con stupore, sulla fiche già preimpostata, lesse il suo nome e cognome e si rese conto che in corrispondenza del campo inferiore compariva esattamente l'indirizzo della sua residenza parigina: Rue de Rosiers 36. Chiese lumi al concierge che rispose con molta professionalità di aver acquisito i dati dal signore al telefono. A quell’ora della notte Cedric aveva deciso di non stupirsi più' di nulla. Dopotutto bastava googolare sul web il suo nome che prima o poi sarebbe venuto fuori quell’indirizzo. E dopo pochi altri convenevoli, il maggiordomo propose d'accompagnarlo in camera. Non prima che il portiere gli avesse snocciolato come un rosario gli orari della colazione e avesse raccomandato in un francese da damerino di utilizzare il samovar con una serie di fragranti infusi e di approfittare della selezione dei vini bianchi e rossi provenienti dalle migliori cantine francesi. Ringrazio’ lasciandosi guidare per due piani, calpestando stanchissimo un pesante parquet, ovviamento blu orlato di finissimi fili dorati, intrecciati come in un fine ricamo.
Si trovava ancora sotto la doccia quando uno dei due portatili nella stanza squillo’ con un suono fioco. Viste gli ultimi trascorsi con i telefoni interni in un hotel, ebbe un brivido freddo al pensiero di qualche maleintenzionato. Uscito dalla doccia, mentre era alle prese con le operazioni di asciugatura, studio’ la cornetta che sembrava emettere una luce ad intermittenza in corrispondenza di un’icona della messaggeria. Schiacciò il bottone. Era Alain che, laconicamente, gli faceva sapere: "Perfetto, siamo nei guai! Chiamami!". Ripresosi dall'iniziale sensazione di mancamento, provò a tornare in sè. Come diavolo faceva il giornalista a sapere che si trovasse a Marsiglia, dal momento che ancora non gli aveva comunicato le novità. E chi avrebbe potuto fornirgli il nome dell’hotel, se la destinazione era stata decisa appena mezz’ora prima da Tariq Bousur. Perché invece di vedere la luce con il passare del tempo questo caso si era via via tramutato in un maledetto incubo? Provò a smanettare sul telefono portatile in modo da accedere alla via telefonica esterna. Non riuscendoci, in preda ad uno scatto d'ira, aveva schiantato la cornetta contro il pavimento. Cosi ridotta, a brandelli, certo non avrebbe fatto al caso suo. Con il sangue agli occhi, tentò con l'altra cornetta. Ma con enorme disappunto, scoprì che il secondo portatile era disattivato. Avrebbe potuto scendere nella hall, ma non ne ebbe nè voglia nè riuscì a trovare le forze. Sfinito, quasi devitalizzato, decise allora di spegnere le luci della stanza e di buttarsi sul letto a baldacchino che occupava maestoso il centro di quella camera. Francamente troppo barocca per lui.
Erano passate appena un paio d'ore quando si svegliò di soprassalto, con la strana sensazione della soluzione del rebus che gli pulsava sulle tempie. Così almeno gli sembrava. Qualcosa di terribile stava per succedere in città quella notte. Lo intuiva dai lunghi discorsi apparentemente insensati del vecchio e tenebroso Busour. D'un tratto, come tarantolato, non poté più sopportare di giacere inerte sul letto. Si alzo', apri' la finestra e si affaccio’ dal balcone, nudo come un verme. Fumo' un vecchio sigaro che aveva rubacchiato dalla scorta che Dutroux soleva tenere nel cruscotto dell'auto. Il fumo lo aiutò a frenare il turbinio di pensieri con cui il suo cervello sembrava aver ingaggiato la resa dei conti quella notte. Da poco era passate le 2 di notte, Marsiglia dormiva e con lei millenni di storia sepolti in questa città misteriosa. Gli vennero in mente le parole del vecchio della Goulette "...vedi queste mura possenti, questi bastioni piantati a difesa della città ...un tempo i marsigliesi non ne avevano; aperti com'erano al mondo credevano che offrire un piatto di pesce e del pane allo straniero, li avrebbe resi in pace. Poi a poco a poco, distruzione dopo distruzione, le mura s'ingigantirono, nacquero bastioni terrificanti, e ad ogni feritoia furono posizionati i cannoni... La storia di una città, vedi, e' un po' come la storia dell'uomo: l'uomo nasce buono e muore quasi sempre vittima della peste". Nel pronunciare quelle parole sibilline, al centro della tolda, dove aveva preteso che Cedric lo seguisse, Bousur parve concedere ancora una volta il fianco ad una certa emotività. Cedric non aveva potuto fare a meno di notarlo.
Ma riflettndoci bene, la solitudine in cui aveva trovato l'uomo quella sera, non poteva di certo essere un caso. Lo stesso atteggiamento di arrendevole attesa, non poteva che significare una cosa...
L'orologio al quarzo segnava le 2,30 quando decise di vestirsi e di scendere giu' in strada. Non sapeva ancora bene perche' e dove andare. Nella hall la sua presenza non passo' inosservata. Il portiere di notte lo guardo' di sottecchi mentre lui scivolava attraverso la possente porta girevole. Che fa uno a Marsiglia, penso’ Cedric, durante un soggiorno forzato, senza capire bene cosa cercare, probabilmente braccato da un reticolo di agenti che ne controllano ogni movimento, mentre la persona che doveva illuminarlo sulla sua missione si era rivelata una sorta di filosofo ossessionato dalla storia e inacidito dalla vita? Esce a prendere una boccata d'aria, nel cuore della notte, si rispose con un pizzico di autoironia.
Il vecchio aveva parlato di tutto, in una sorta di ispirtato monologo: della città e della Francia, della sua storia, della gente e di come si puo' essere marsigliesi senza sentirsi europei o africani, della vita in città e dei tempi che cambiavano, con il profondo sconquasso della cementificazione che ne aveva ormai inevitabilmente cambiato il volto. Aveva parlato di tutto tranne che di Eric. Non una parola su di lui. E nemmeno il suono del nome Yvonne sembrò procurargli alcun tipo di emotività. Per questo aveva ritenuto inutile perdere tempo a cercare in Bousour una pista che lo conducesse ad Eric. Aveva sentenziato un deluso Cedric dopo che, all’ennesimo domanda, il vecchio si era profuso nella più candida espressione di sincero rammarico.
Solamente adesso, nel cuore della notte, il detective intuiva che il vecchio Bousur doveva essere in pericolo. E fu forse per questo che s'incammino', dapprima passeggiando, poi accelerando il passo, man mano che sentiva agli angoli bui e desolati della strada l'inquieta sensazione di essere spiato. Arrivo' senza fiato al Vieux Port, dove si decise a prendre un taxi. Prima di accomodarsi buttò un veloce sguardo attorno. Nessuno sembrava seguirlo, a parte il vento che si infrangeva agli angoli delle strade deserte. In pochi minuti, il taxi lo lascio' davanti al desolato marciapiede di fronte alla Goulette e se ne parti' quasi sgommando. Cedric resto' fermo più' di un istante davanti alla passerella. Il vento sbatteva forte contro le due lanterne, producendo un rumore cadenzato di rugginoso stridore. Si decise ad oltrepassare il pontile che conduceva al portone d'entrata della Goulette. Stavolta lo trovò sprangato. Nella bacheca accanto al vecchio menu, una lucina incassata, come una sorta di lumino nei cimiteri, illuminava un piccolo stemma. Si avvicinò per guardarlo meglio senza sorprendersi di trovare una sorta di bandiera di colore verde scuro su cui era vergata una incomprensibile scritta in arabo.
Tutto un tratto un refolo di vento sembro' placarsi e una calma irreale si sparse nello specchio di mare antistante. Decise di suonare il campanello, il cui trillo si diffuse ampiamente all'interno del veliero. Senza ricevere riscontro. Riprovò a distanza di una trentina di secondi. Nulla, non sembrava esserci anima viva. O forse la camera del vecchio doveva essere in un piano diverso dalla sala centrale. E mentre il detective già stava mestamente riattraversando il pontile per tornare sui suoi passi, improvvisamente sentì uno stridore di copertoni provenire dalla strada innanzi. Accadde tutto in un minuto. Un pazzo sembrava aver lanciato a grande velocità la propria auto in curva, e dopo averne perso il controllo, la vettura era andata a schiantarsi rovinosamente contro un albero di palma. L'impatto fu cosi' violento che dopo qualche istante, dai palazzi circostanti cominciarono all'unisono a schiudersi le imposte.
Cedric fu il primo ad accorrere, trovandosi ad una cinquantina di metri dal luogo dell'incidente. Trovò lo sportello del lato passeggero aperto senza traccia di anima viva attorno. Il conducente, da solo o insieme ad altri, dopo l'impatto sembrava essersela svignata. E mentre Cedric cercava di spiegare agli astanti accorsi che la macchina dell'incidentato era vuota, si sentì un enorme boato squarciare l'aria e una potente deflagrazione spostare una gran massa d’aria. Cedric si accasciò istintivamente per terra, mentre attorno la deflagrazione stava spargendo sbarre di legno, vetri, infissi, lamiere e chiodi, tanti chiodi. "Non si ha idea di cosa puo' produrre l'innesco di una bomba -avrebbe ricordato per sempre il detective- malgrado il cinema abbia ampiamente mostrato con precisione quasi reale gli effetti di un'esplosione di quella portata. Una delle prime sensazioni è quella di un forte dolore alle orecchie, che sembrano quasi sanguinare, poi una diffusa paralisi che sembra impossessarsi del corpo e infine una sensazione di impermeabilita' al dolore che sembra sopraggiungere in un secondo momento. Come gli effetti di un'anestesia. Prima del dolore quello vero, della carne e delle ossa".