Strana razza, quella degli esseri umani. Nel bel mezzo di una pandemia che sta rivoluzionando ormai da un anno il nostro stile di vita, intaccando pesantemente una dopo l’altra le nostre certezze sul futuro prossimo, si assiste ad un impressionante interesse del pubblico televisivo verso “prodotti” in certo qual modo legati alla realtà che stiamo vivendo. Considerato il successo del film Contagion, riproposto in piena emergenza Covid la scorsa primavera, e il proliferare di titoli messi a disposizione ultimamente sulle varie piattaforme streaming (fra gli altri recentissimi su Netflix: Pandemic, Alive e Cargo), viene da chiedersi se questa tendenza, collaterale al masochismo, non possa essere oggetto, prima o poi, di un accurato studio in sociologia. O in psicologia, forse. Ovviamente, nemmeno il sottoscritto è sfuggito alla regola. E così la settimana scorsa, convinti dalle ottime recensioni scovate qua e là sul web, ci siamo imbarcati in una nuova serie tv targata Made in Russia, "To the lake", che in patria è stata proposta a fine del 2019 (quindi girata prima del Covid) con il titolo originale che non lascia dubbi sull’argomento trattato: Epidemiya.
Liberamente ispirata al romanzo Vongozero, della scrittrice ceca-russa Yana Vagner, dopo una partenza soft in cui si profilano le dinamiche dello scoppio di una terribile pandemia, To the Lake non tarda a virare sui sentimenti che si intrecciano tra i vari personaggi e sulla loro lotta contro le innumerevoli insidie esterne. Risultando alla fine emozionante, pieno di suspense, a tratti commovente e carico di spunti sull’uomo, le sue debolezze, le paure, il suo spirito di adattamento, il suo indomabile istinto di autoconservazione.
L’incipit della storia è a Mosca, dove nel giro di pochi giorni un misterioso virus polmonare, dal decorso rapidissimo, che trasforma le persone in soggetti iper-violenti, comincia a falcidiare la popolazione. Sergei, uomo in bilico fra la sua ex moglie Irina e la nuova compagna Anna, decide così di scappare insieme alle due donne, ai rispettivi figli, al vecchio padre e agli insopportabili vicini di casa, verso un rifugio situato nei pressi di un lago nella lontana regione della Carelia. Ha così inizio un’Odissea costellata di brutte sorprese ed inevitabili imprevisti. In questo spaventoso contesto post-apocalittico e vagamente distopico, affiora in tutta la sua essenza il tema principale del film: la lotta per la sopravvivenza. I protagonisti sono costretti a muoversi in un mondo ormai vuoto di regole, dove il contante e le carte di credito non hanno più alcun valore, dove mancano elettricità e carburante, il cibo inizia a scarseggiare e non vi è più neppure un barlume della società costituita.
Per gli amanti del genere horror-thriller-catastrofico non mancheranno i topoi che ne hanno fatto la fortuna, anche se, nota al merito, proposti cum grano salis: cadaveri ammassati, infetti che si manifestano con sembianze simili a zombie, scene di cannibalismo, violente torture e, al centro di tutto la perdita totale dell'umanita' che porta alla morte della civiltà stessa. Secondo il ben famoso adagio: mors tua, vita mea.
Per la sua pregevole fattura il film colpirebbe nel segno anche in tempi non sospetti, ma e' evidente che le attuali contingenze accrescono di molto la percezione del suo valore emozionale. Ovviamente, la minaccia del virus risulta essere molto più pericolosa e mortale di quella con cui abbiamo a che fare nella realtà di oggi. E meno male, direi. Nella finzione, la società scivola presto nel caos assoluto: gli infetti vengono brutalmente uccisi, le forze armate si trasformano in efferate bande criminali e la lotta del “si salvi chi può” arriva a momenti parossistici di grande impatto emotivo.
Ed è proprio l’emotività l'altra grande protagonista della serie. Senza voler forzare la situazione attuale dentro questa sorta di incubo senza ritorno in cui il film ci trascina, di certo c’è che lo spettatore, proprio in virtù di questa sinistra simmetria con la spaventosa attualità del Covid, viene chiamato in prima persona di volta in volta a fare i conti con i sentimenti più estremi dei vari protagonisti. E, complice un set fortemente connotativo che propone i silenzi della spaventosa immensità della steppa russa, grazie ad una colonna sonora di forte impatto (che si richiama spesso al tema di “28 giorni dopo” di Danny Boyle), e a una messa in scena perfetta del regista Pavel Kostomarov, capace di mettere in risalto la credibilita' dei personaggi, del tutto umani nei loro sentimenti, il risultato finale raggiunge livelli davvero di grande qualità. Abbastanza inediti, peraltro, per le modeste produzioni cui il made in Russia ci ha abituato.
La continua angoscia, l'insicurezza per il futuro, la fobia di perdere gli affetti più cari si respirano ad ogni scena del film. Ed è sulla dimensione umana che la serie punta riuscendo a ritagliarsi un suo spazio prezioso all'interno di un filone apocalittico, pieno zeppo di prodotti televisivi, spesso ripetitivi e alquanto deludenti.
In ultima analisi, To the Lake, partendo dalla crisi scatenata dalla pandemia, sposta con maestria l’attenzione sulle dinamiche interne tra i suoi protagonisti e sulla perdita di valori che la civiltà si troverebbe ad affrontare di fronte ad un evento disastroso senza precedenti. E in definitiva, vince a man bassa su tutta la linea.
Alla fine, al netto del "magnifico e raccapricciante spettacolo” offerto dalle 8 dense puntate, il cui ossimoro lascerei, ripeto, ad appannaggio di un’equipe di bravi sociologi, probabilmente To the lake si rivela il film giusto per chi vuole provare a sfidare questa “grande paura” più o meno confessata dei nostri tempi, con cui ciascuno di noi da un anno è ormai abituato a confrontarsi. La visione di questo genere di rappresentazioni potrebbe forse aiutare lo spettatore ad esorcizzare freudianamente la paura, a relativizzare il contesto attuale riportandolo ad una giusta misura di percezione del pericolo, e perché no… magari anche a stimolare una sorta di catarsi interiore. Esagerato forse, chissà...
Non so quante volte ho letto che alla fine di questa pandemia ci "ritroveremo ad essere persone migliori". Ce lo auguriamo davvero tutti. Allo stesso tempo, suggerirei però sommessamente una semplice raccomandazione: non andrà tutto bene, se andrà tutto come prima.
15 febbraio 2021